L'editoriale
«Ma perché la gente non scende in piazza come nel 1992?». Luca Telese, giornalista de il Fatto quotidiano e conduttore di Tetris, l’altra sera su La 7 pareva non rassegnarsi alla mancata reazione popolare di fronte a ciò che sta succedendo. Il consigliere del PdL di Milano preso con la mazzetta nel pacchetto di sigarette, il gentiluomo del Papa beccato a brigare con appalti e seminaristi, il top manager delle telecomunicazioni colto con le mani nel sacco dei miliardi e poi la ‘ndrangheta, le amanti del sindaco, il senatore imbroglione…e così via. Di fronte al marcio che avanza perché le persone non assaltano gli alberghi, tirano le monetine e agitano i cappi?, era la domanda sottintesa di Telese. Il telegiornalista pareva quasi invocare un sussulto di rabbia che spazzasse via tutto e facesse tornare i bei tempi andati di Mani pulite, quando in buona fede di fronte al repulisti dei pm, molti, anche fra noi giornalisti, pensarono che l’eliminazione dei corrotti avrebbe portato a una nuova Repubblica, più ordinata e più efficiente. La risposta all’appello di Telese è semplice. Forse la gente ha capito dopo 18 anni che non sempre chi finisce in manette è colpevole, quanto meno non tutti, e che a volte c’è una regia e il regista ha spesso un disegno politico. Probabilmente l’opinione pubblica ha imparato che bisogna aspettare il processo ed evitare di farlo sui giornali con le sole intercettazioni. Troppe volte abbiamo visto trascinati nel fango personaggi i quali poi si sono rivelati innocenti e l’intimo godimento del vedere un potente nella polvere ha un limite. Si fa presto a distruggere la reputazione delle persone quando lo si vuole fare: più difficile restituirgliela. Negli ultimi venti o trent’anni quanti abbiamo visto sfilare in manette accusati delle più turpi nefandezze? Tortora, Sabani, Rizzoli, Darida, Mannino, Nobili per limitarci ai più noti senza fare l’elenco telefonico. Tutti in galera, accusati d’essere spacciatori, mafiosi, bancarottieri e pure stupratori. Tutti assolti. Forse è per questo che gli italiani ci vanno cauti: semplicemente non si fidano più dei magistrati e dei giornali che gli danno man forte. Non si accontentano di leggere l’accusa per correre a fare i girotondi intorno al Palazzo di giustizia, vogliono ascoltare anche la difesa. Nessuno nega che la corruzione in Italia ci sia e che il malaffare spesso inquini la vita pubblica, ma visto che la falce della giustizia troppo spesso ha falciato innocenti e quasi sempre ha colpito da una sola parte politica, adesso sono cauti e preferiscono aspettare prima di emettere una sentenza. Può dispiacere a Telese: credo non dispiaccia però a chi ha a cuore il principio di garanzia secondo il quale ogni cittadino ha diritto di essere considerato innocente fino a sentenza definitiva. Capisco che è più bello e anche più facile condannare tutti e metterli nel tritacarne della cronaca, ma temo che quanto abbiamo visto negli ultimi vent’anni sia solo una barbarie del diritto con cui si fa lotta politica o carriera in magistratura. E a proposito di barbarie vorrei segnalare il caso di una persona che conosco solo tramite i giornali e da quel che leggo non mi pare particolarmente simpatica. Si tratta di Angelo Balducci, l’ex presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici. Da 23 giorni questo signore sta in carcere, accusato di corruzione per gli appalti della Maddalena. La necessità di trattenerlo dietro le sbarre sarebbe dovuta al pericolo di fuga, inquinamento delle prove e rischio di reiterazione del reato: formule di rito con cui si giustifica la custodia cautelare. Balducci si professa innocente e ha fornito la sua versione dei fatti dei quali è accusato. Fossimo in un Paese normale lo si manderebbe a processo e, se condannato, si butterebbe la chiave. Ma il nostro non è un Paese normale e così dopo venti giorni senza la confessione che forse si aspettavano i pm, ecco uscire le intercettazioni sulla vita privata di Balducci. L’uomo, sposato e con figli, si accompagnava con giovani prostituti ingaggiati da un corista della Cappella Giulia: ragazzi di vita, qualche volta clandestini, pagati con centinaia o migliaia di euro. Storia sporca, che suscita disgusto e repulsione. Ma che c’entra tutto questo con la corruzione negli appalti? C’era proprio bisogno di inserire i brogliacci delle intercettazioni nei fascicoli giudiziari, a disposizione di tutti? A cosa serve sapere se Balducci li sceglieva giovani e quali caratteristiche anatomiche prediligesse? Forse c’è l’urgente necessità di farlo parlare, di piegarne la resistenza in carcere, e forse qualcuno ha pensato che distruggere la sua reputazione, anche privata, anche familiare potesse servire allo scopo. So che qualcuno dirà che con i corrotti – o presunti tali - non bisogna usare i guanti bianchi: il fine giustifica i mezzi e per estirpare le male piante anche l’annientamento morale del reo può funzionare. Può essere. Ma se questa è la giustizia, anche se so che non gode in questo momento di molta popolarità, preferisco difendere Balducci. I magistrati devono fare i processi, non i linciaggi. E adesso denunciatemi pure per offesa alla pubblica accusa.