L'editoriale
Adesso che si sa come Nicola Di Girolamo è riuscito a diventare senatore, tutti dicono che si deve cambiare la legge sugli italiani all’estero. Dall’inchiesta della Procura di Roma infatti emerge che basta avere alle spalle un’organizzazione, meglio se criminale, e raccogliere le preferenze in Germania o altrove diventa un gioco da ragazzi. Se si ha un amico compiacente non è neppure indispensabile risiedere all’estero, perché con l’attuale sistema chiunque può fare carte false. Già, ma tutto ciò era noto da tempo e la maggior parte dei politici, per pigrizia o forse per ignoranza (in senso buono, ovviamente), di questa faccenda degli italiani all’estero non ha mai voluto occuparsi. In particolare il centrodestra: pensava, a torto, che fosse affare di Mirko Tremaglia, il vecchio leone missino che per una vita si è battuto per la concessione del diritto di voto agli emigrati, convinto che i nostri concittadini d’America e Australia fossero prevalentemente nostalgici o fascisti scappati dopo il crollo della Repubblica sociale. Nel 2003, nei giorni in cui la legge si apprestava a essere votata, feci visita al presidente della Camera. L’incontro avvenne a Montecitorio e quando fui ammesso nel salotto istituzionale, trovai Pierferdinando Casini intento a parlare con l’allora ministro degli italiani nel mondo. Tremaglia era venuto per essere rassicurato sulla speditezza dell’iter parlamentare: voleva esser certo che la sua legge non avrebbe trovato ostacoli e sarebbe entrata in vigore di lì a poco. La terza carica dello stato, accompagnandolo alla porta, non mancò di tranquillizzarlo, poi, chiusa la porta, si rivolse verso di me e disse: io non ho ben capito se questa legge ci è utile o no. Speriamo non ci faccia perdere le elezioni>. Il sospetto del leader dell’Udc, non terza carica dello stato, era fondatissimo, ma la maggioranza di allora preferì non approfondire. Così, di fatto, firmò la sua condanna o quando meno la sua sconfitta contro Prodi nel 2006. Senza quella legge e tutti i magheggi che grazie ad essa furono compiuti, probabilmente il centrosinistra del Professore Mortadella non avrebbe potuto governare neppure un giorno. Gli eletti nelle circoscrizioni estere furono infatti determinanti nel consegnare a Prodi una risicata maggioranza al Senato. Naturalmente già si sapeva che alcuni rappresentanti degli emigrati erano arrivati alla nomina grazie ai brogli. Subito scoppiarono le contestazioni e si capì che le schede erano merce di scambio e molti documenti destinati agli aventi diritto al voto erano finiti nelle mani sbagliate. Emerse anche che un ruolo determinante l’avevano avuto Cgil, Cisl e Uil, le quali attraverso i patronati, ovvero di chi si occupava di sbrigare le pratiche per pensioni e sussidi, erano in grado di controllare una quantità determinante di consensi. Ciò nonostante nessuno ha fatto nulla. Non il centrosinistra di Prodi, cui faceva assai comodo poter contare su un supporto insperato all’estero. Non il centrodestra, che ha continuato a ignorare che la batosta del 2006 era dovuta in larga parte a quella legge, tanto generosa quanto sbagliata. Neppure nel 2008 e nel 2009 nessuno si è posto il problema. Solo ora, con il caso Di Girolamo, risulta chiaro che non si può lasciar eleggere sconosciuti che spesso si comprano la nomina e una volta eletti neppure si presentano in Parlamento ma continuano a coltivare i loro interessi godendosi stipendio e diarie. Se si vogliono tutelare gli italiani all’estero bisogna farlo in Italia, possibilmente nominando chi già ci sta. Quindi, prego: abolite questa legge e rifatene un’altra che non sia una legge-truffa.