L'editoriale

Michela Ravalico

Per i silenzi della Chiesa ho sempre avuto grande ammirazione. Anche nella peggior bufera e nella più accesa delle polemiche  essa sa tacere, come se fosse certa che nulla riuscirà a turbare chi ha da compiere il grande progetto divino. Così è stato per i pasticci dello Ior, dal crack del Banco Ambrosiano alla maxitangente Enimont,  e così immaginavo sarebbe accaduto ogni altra volta che i sacri palazzi fossero sfiorati da un piccolo o grande scandalo. Mi stupisce dunque quanto sta accadendo in questi giorni a proposito di quello che è ormai conosciuto come il caso Boffo. Infatti, mai  mi sarei aspettato una nota ufficiale della segreteria di stato Vaticana, perché paradossalmente il tentativo di chiudere questa brutta storia con un comunicato rischia, al contrario, di riaprirla e di trasformarla in una telenovela. La vicenda  è risaputa e ha la sua prima puntata nel settembre dello scorso anno, quando il Giornale prende per le orecchie il direttore dell’Avvenire. Al numero uno della stampa cattolica vengono rinfacciate le critiche moralistiche a Berlusconi e gli viene ricordata una condanna per molestie, che secondo Vittorio Feltri aveva come sfondo una relazione omosessuale. L’articolo dopo un paio di giorni di tentennamenti porta alle dimissioni di Boffo e, a parte un po’ di polemiche, la questione pare chiusa lì. In realtà l’addio non è l’epilogo della storia ma solo il prologo. Passati tre mesi  ecco rispuntare il caso sulle pagine dei quotidiani, ma con un colpo di scena. Il direttore del Giornale ammette che i fatti non andarono come li aveva raccontati:  Boffo è davvero stato condannato per molestie ma i gay non c’entrano nulla e dunque Feltri chiede scusa all’ex direttore di Avvenire, riconoscendo che chi gli passò la notizia gli girò anche una bufala. Un mese dopo la seconda puntata arriva la terza,  con l’ entrata in scena del mandante dello scoop. Feltri rivela in un’intervista che le carte farlocche gliele consegnò un tipo di cui non si poteva dubitare. Il direttore non fa i nomi, ma lascia intendere che si tratti di qualcuno con cariche istituzionali. Insomma, anche senza l’indirizzo e il numero  telefonico del soggetto, si capisce che sta dentro i sacri palazzi e dev’essere uno che conta e non poco. Il nome si incarica di farlo il Foglio di Giuliano Ferrara. Per il quotidiano diretto dall’ateo devoto non c’è dubbio:  la manina che ha fatto arrivare il documento al Giornale è quella di Gian Maria Vian, direttore dell’Osservatore romano, il quale in realtà sarebbe stato solo il postino del segretario di Stato Tarcisio Bertone.  Apriti cielo: già non è bello che il numero uno del quotidiano della Santa sede si dia da fare per eliminare il numero uno dei quotidiano dei vescovi, ma se poi c’è di mezzo un cardinale che praticamente è secondo solo al Pontefice, siamo proprio messi male. E qui arriva la quarta puntata della telenovela: la smentita a mezzo stampa. Per cercare di placare il polverone, dalla segreteria di Stato si partorisce una nota in cui si afferma che si sta cercando di coinvolgere Benedetto XVI e addirittura si parla di una campagna diffamatoria contro di cui. In realtà la questione non riguarda affatto il Papa - il quale semmai sta cercando di metterci una pezza -  ma i sottoposti. È fra loro che va cercato il responsabile di questo intrigo da sagrestia. Non c’è infatti motivo di dubitare delle parole di Vittorio Feltri, il quale pur senza fare il nome dell’informatore, ha detto chiaro e tondo che la soap opera ha origine nei palazzi vaticani.  Come ho detto, ho sempre avuto ammirazione per i silenzi vaticani e probabilmente di fronte a questa telenovela la miglior strategia sarebbe stata far finta di niente. Ma ormai il caso è sulle pagine di tutti i giornali e fingere non si può, anche perché a chieder che si faccia luce non sono quei mangiapreti dell’Espresso, bensì alcuni degli osservatori più vicini alla Chiesa, tra i quali proprio quel Giuliano Ferrara che appena pochi anni fa bacio l’anello del Papa prima di imbarcarsi nell’avventura di una lista contro l’aborto.  Altri tempi. Allora ai vertici della Cei c’era ancora Ruini, il vincitore del referendum sulla fecondazione eterologa.  Era dal 1948 che i cattolici non riuscivano a imporre le proprie idee in politica: neppure sul divorzio o sull’interruzione di gravidanza ce l’avevano fatta. Al cardinale invece l’impresa riuscì, grazie anche ad alcuni laici in cerca di fede: gli stessi che oggi vogliono capire di più dell’oscura trama che ha spazzato via Boffo. Ce la faranno a svelare i segreti di questo intrigo? La risposta alla prossima puntata.