L'editoriale
Lui parla di piazza pulita, ma l’incubo è la piazza vuota. Lui lancia i soliti slogan, ma il terrore è che gli lancino qualche pomodoro. E così l’ex pm scopre che la piazza non è più chic e va all’assalto della moderazione. Che ci volete fare? Qualcuno deve avergli detto di arrestare il populismo e lui ha già pronte le manette. Anche il dipietrese rischia di essere sbattuto in cella. L’avete sentito come parlava ieri? «Abbiamo il dovere di trovare un punto d’incontro tra il nostro programma e quello degli altri». Ci vogliono alleanze «senza barriere ideologiche». Bisogna «passare dalla fase dell’ opposizione a quella dell’alternativa». Ci mancava solo la citazione delle convergenze parallele e poi sarebbe stato l’orgoglio, linguisticamente parlando, di Forlani e Gava. Ancora un po’ di progressi e finirà per azzeccare pure i congiuntivi. In effetti ieri nello show dei Valori c’era tutto quello che ci dev’essere dentro un partito che vuole la svolta: dalle piazzate ai piazzati, dalla rivolta alla cadrega, dalle mani pulite alle mani in pasta. C’era tutto, a cominciare dal congresso, che non per caso non era mai stato convocato prima. E poi c’era anche uno stile particolare del congresso: sembrava una convention della pubblicità, tutto lustrini, inni, standing ovation e paillettes. E poi c’erano le correnti che fingevano di contrapporsi fra loro in platea per siglare invece accordi indecenti nei corridoi. E poi c’erano le ipocrisie di chi diceva, per esempio, «non sosterremo mai candidati indagati» e come primo atto del congresso sceglieva di sostenere il candidato De Luca, indagato. C’era tutto, e tutto così perfetto, da manuale della partitocrazia, da sembrare prevedibile e noioso. A un certo punto Gioacchino Genchi ha fatto l’unica uscita davvero fuori dalle righe di tutta la giornata, quando ha definito «finta» l’aggressione a Berlusconi in piazza Duomo. Nessuno l’aveva avvertito della svolta moderata? O doveva recitare apposta il ruolo del pierino? Fatto sta che dopo poche ore il pierino è stato zittito, smentito e schiacciato. Non c’è più spazio nell’Idv per il futurismo manettaro. L’ordine regna a Berlino, scrisse Rosa Luxembourg. E l’ordine ora regna anche a Tonino. Trattore e Palazzo È l’ultima piroetta del saltimbanco di Montenero. L’avanguardista mette le babucce, il trattorista s’accomoda in salotto. Lo fa perché non è mai stato così debole, lo fa perché vuole apparire forte. E, in effetti, la manovra ottiene il suo risultato: persino il segretario del Pd Bersani va a baciargli la pantofola. Il leader del più grande partito della sinistra che s’inginocchia davanti a Masaniello, l’uomo che ha ereditato la centenaria storia del comunismo che si consegna nelle mani di un partito a conduzione familiare: Di Pietro ha dunque vinto? Si annetterà il Pd? Entrato al congresso vacillante come una vaso di polistirolo durante Katrina, ne uscirà gagliardo come non mai? Io penso di no. Io penso che l’ennesima furbata, il ribaltone dei valori, il richiamo alle pance piene e la paura delle piazze vuote, sia tutt’altro che la vittoria di Di Pietro: sia, al contrario, la sua fine. Perché, vedete, stavolta Tonino, se fa quel che dice, non rinuncia a un collaboratore, a un alleato, a un principio. Stavolta rinuncia a se stesso. Voleva essere fuori dal palazzo e adesso ci vuole entrare. S’impegnava solo per demolire e adesso vuole costruire un’alternativa. Si proclamava diverso da tutti e invece in quell’abbraccio (ci avete fatto caso?) sembrava così terribilmente uguale a Bersani. È difficile essere ruspanti fra le paillettes, è difficile fingersi genuini parlando come un doroteo. È difficile stare contemporaneamente sul trattore e negli sgabuzzini del potere. Che tristezza: volendo dimostrare di essere diventato uguale a tutti gli altri ci ha provato anche lui, appena salito sul palco del congresso, a infilare consecutio temporum e bugie, una dietro l’altra, com’è consuetudine. Entrambe, però, gli vengono evidentemente male. «Me ne vado nel 2013», ha detto per esempio, annunciando il suo ritiro, credibile come Veltroni quando parlava di Africa. Povero Tonino: lo sa benissimo che non è vero, lo sa benissimo che anche questa volta sta mentendo. Ma il vero problema non è che nel 2013 non se ne andrà. Il vero problema è che già adesso lui non c’è più.