L'editoriale

Eleonora Crisafulli

Le citazioni non ci piacciono, soprattutto se sono nostre, ma in questo caso sono d’obbligo. Solo la scorsa settimana, parlando del neosegretario del Pd lo definivamo un gregario. A conferma del poco lusinghiero  giudizio, Bersani si dimostra tale anche in queste ore difficili. Dopo aver accettato senza riuscire a opporsi le candidature della Bonino nel Lazio e di Vendola in Puglia, l’uomo in grigio del partito rosso pare rassegnato a farsi imporre altre auto designazioni. In Calabria e Campania alcuni  cacicchi del centrosinistra, ignorando volutamente le direttive romane, si preparano infatti a correre per i fatti loro, seppellendo per sempre il ricordo del centralismo democratico, vecchia formula che nel Pci consentì spesso ai segretari nazionali di far valere la loro linea a una base assai riottosa. Certo, i tempi di Botteghe oscure e di Enrico Berlinguer sono lontani, ma la faccenda delle  regionali, per il povero Bersani si sta trasformando nella più efficace rappresentazione della sua pressoché totale mancanza di leadership. E’ pur vero che il comunismo dal volto emiliano, mitigato dalla cantilena dolce e dai tortellini in brodo, non ha mai dato al partito grandi leader. Prova ne sia che una volta lasciata la poltrona di primo cittadino neppure Renato Zangheri, il più popolare dei sindaci di Bologna, ha avuto un ruolo di rilievo ai vertici del Pci e nonostante in Emilia ci siano sempre stati il cuore e il cervello del potere economico comunista. Nessuno stupore dunque per l’assenza di temperamento del nuovo segretario, che provenendo da Piacenza sarebbe in linea con la tradizione lambrusco-emiliana del partito. Ma per come si sono messe le cose la situazione è a rischio di sfuggir di mano. E’ per questo che uscendo dal suo tradizionale rancore si è rifatto vivo Romano Prodi , il quale ieri si è domandato chi sia a comandare davvero dentro il Pd, segnalando una confusione che regna sovrana tra i vertici. Mentre i dubbi sulla effettiva capacità di Bersani di guidare il partito si diffondono, c’è da registrare l’abbraccio mortale con Di Pietro. Il capo dell’Italia dei valori ha infatti stretto un patto per presentarsi unito ai democratici in 11 regioni. L’accordo arriva il giorno dopo il naufragio dell’alleanza con l’Udc e segnala, semmai ve ne fosse bisogno, un ulteriore scivolamento a sinistra del Pd. Ma non è questo che deve allarmare. Semmai il sempre maggiore condizionamento che l’ex pm esercita sul principale partito d’opposizione. Ieri, usando un termine borsistico, parlavamo della possibilità che Di Pietro lanciasse un’ offerta pubblica di acquisto sul Pd. Ripensandoci, probabilmente non c’è bisogno di alcuna Opa. Al leader di tutti i giustizialismi basterà attendere un poco, magari appena il risultato delle prossime regionali, e il Partito democratico gli cadrà nelle mani senza che egli faccia nulla. Di questo passo, infatti, Tonino sarà l’unico segretario in grado di guidare ciò che resta del Pd.