L'editoriale

francesca Belotti

Noi abbiamo sempre pensato che la democrazia in questo paese corresse seri rischi a causa delle bande armate per il comunismo che ancora vi operano. Ebbene, ci siamo sbagliati. Da ieri dobbiamo prendere atto che il vero pericolo non è costituito dai gruppi anarchici che mettono le bombe e neppure dalle organizzazioni clandestine che combattono lo stato in nome del proletariato. La concreta minaccia viene dalla Guardia nazionale padana, un nucleo disarmato per il federalismo che alcuni leghisti hanno fondato quasi vent’anni fa, sognando l’autonomia delle proprie regioni. Per aver dato vita a quell’organizzazione, che non ha mai fatto male a una mosca e di cui negli anni si sono perse le tracce perché in realtà non è mai andata al di là delle manifestazioni di folklore, venerdì  scorso 35 seguaci di Bossi sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di banda armata. Tra di essi ci sono il sindaco di Treviso Gobbo, l’onorevole Bragantini e l’ex sindaco di Milano Formentini. Mancano nomi grossi come quelli del segretario del Carroccio, di Maroni e Calderoli, ma solo perché l’immunità parlamentare li ha salvati: diversamente anche loro sarebbero stati equiparati a pericolosi terroristi. Ma che hanno fatto gli uomini della Lega per giustificare un processo con accuse di tale gravità? Semplice: hanno creato un’associazione a carattere militare, con dei capi e un ordine gerarchico e perfino delle divise. Per non spaventare i boyscout, i cui comandanti in braghette corte già si vedevano trascinati in manette di fronte al giudice, il pm ha tenuto a precisare che, a differenza delle crocerossine e degli alpini, i leghisti non avevano intenzioni pacifiche. Con anni di ritardo scopriamo insomma che il Senatur e i suoi 300 mila bergamaschi non si limitavano alle salamelle delle feste padane e nemmeno all’elezione di Miss Padania, ma erano un pericolo per la democrazia. Ma va là…   Al di là dell’assurdità delle imputazioni, che appare evidente a chiunque tranne che ai giudici, la vicenda merita però tre riflessioni. Prima. Il processo ai brigatisti verdi comincerà ad ottobre di quest’anno, vale a dire quattordici anni dopo i fatti. Già questo spiega molto di quel che è accaduto: ci sono voluti quasi tre lustri per tentare di dimostrare le accuse e probabilmente ce ne vorranno altri dieci per stabilire che non sono fondate. Nel frattempo il reato sarà prescritto e finirà in archivio. Se c’erano dubbi sulla necessità del processo breve ecco un buona ragione per fugarli.. Seconda. In questo paese si discute da anni dello strabismo giudiziario che colpisce esclusivamente una parte politica salvando l’altra. Ogni Procura naturalmente ha la sua specializzazione e quella di Verona da tempo si è perfezionata in indagini sui leghisti. Se qualcuno aveva dubbi, da ieri ha un motivo in più per ricredersi. Terza riflessione. Che aspetta il centrodestra a fare la riforma della giustizia?