L'editoriale

Libero Quotidiano

A Bersani da tempo riconosco grandi qualità di eterno secondo. Numero due dietro a Vincenzo Visco nella Nens, il centro studi che elabora la politica economica della sinistra, e spalla dello stesso viceministro nel governo Prodi, il neo segretario è stato subalterno anche a D’Alema nelle più importanti decisioni di partito. Quando Veltroni si candidò alla guida del Pd,  Pier Luigi avrebbe voluto fare altrettanto, ma bastò un arricciamento del baffo del líder Massimo a farlo rinunciare. Con un simile curriculum da gregario, da lui non mi aspettavo dunque alcuna novità ai vertici del principale gruppo d’opposizione. Una carriera da travet d’apparato non può che portare a un’ordinaria gestione e così, in queste prime settimane, è stato. Se il Pd fosse un normale partito ci si potrebbe accontentare: Bersani tutte le mattine tira su la serranda della sua bottega e espone al meglio la propria mercanzia, cercando di convincere qualche cliente. Purtroppo quello di Pier Luigi da Bettole, Piacenza, non è proprio un negozio come gli altri, ma somiglia  a quelle rivendite che un tempo hanno goduto di clientela e lustro e oggi conservano tutt’al più un certo prestigio ma hanno sempre meno acquirenti. L’insegna è in declino e per quanto ci si sforzi di rinnovarla, le cose non cambiano, anzi, peggiorano e, inversamente, con esse crescono i bisticci fra gli esercenti. Proprietari e commessi litigano di brutto e il conduttore non sa che pesci pigliare, cosa dire, come impedire che ogni cosa sfugga di mano. Ecco, Bersani è la copia spiccicata del responsabile di negozio  che, mentre gli affari vanno di male in  peggio, è incapace di fermare i soci e gli impiegati che si accapigliano. Guardate quel che sta succedendo in Puglia e Lazio,  che potrebbe accadere in Campania, Calabria e - perché no? - in Piemonte. A Bari, dopo mesi di battibecchi fra comari, Nichi Vendola ha deciso che se ne fa un baffo dei vertici del Pd e si ripropone per l’elezione  alla guida della Regione. Stessa storia a Roma, dove Emma Bonino ha annunciato la sua candidatura al posto di Marrazzo senza neppure avvisare il buon Pier Luigi. Di fronte a gesti che come minimo sono sgarbati e come massimo sono un tentativo di forzare la mano al maggior partito della sinistra, cosa ha fatto Bersani? Nulla, assolutamente nulla. Qualche balbettio, qualche tentativo di prender tempo e niente altro. Forse nulla c’era da fare o forse fare qualcosa avrebbe potuto peggiorare la situazione, ma sta di fatto che nelle ultimi giorni la sensazione di un partito democratico senza leadership è  ancor più forte di quando a guidarlo era Dario Franceschini, uno sconosciuto capitato per caso alla guida di ciò che resta del comunismo berlingueriano. Nei giorni successivi all’aggressione di Berlusconi, chiamato a pronunciarsi sulle possibilità di una nuova stagione di dialogo sulle riforme, il neo segretario non ha saputo dire niente  di significativo e si è fatto condizionare dall’ex numero uno, contro il quale aveva appena vinto delle difficili primarie. Soprattutto non ha saputo marcare con chiarezza  la sua posizione rispetto a uno scomodo alleato come l’Italia dei valori. La sensazione è che il povero Pier Luigi avrebbe bisogno di qualcuno che lo guidi, ossia di avere davanti a se chi gli traccia la via. Avrebbe bisogno insomma di fare quello che ha sempre fatto: il secondo. Peccato che stavolta davanti a lui non si intraveda nessuno. Brutto affare per una bottega in crisi: c’è il rischio che fallisca e che la sua mercanzia sia acquistata in saldo dal suo principale concorrente, un certo Antonio Di Pietro.