L'intervista
Quagliariello e il nuovo Pdl:"Angelino Alfano ha vinto,ora decide lui la linea"
A prima vista Gaetano Quagliariello, ministro delle Riforme e colomba pidiellina, ostenta la magnanimità del vincitore. Ma anche lui è una colomba con gli artigli: mentre smentisce la smania di epurare i dirigenti sconfitti, avverte che la linea del partito adesso è quella incarnata da Angelino Alfano. Guai a chi la tocca. Eppure, ministro, il Pdl pare si sia trasformato in un partito di tagliatori di teste. Avete vinto voi colombe e le teste a rischio sono quelle di Daniela Santanché, Denis Verdini e Renato Brunetta. «È una sciocchezza. Abbiamo suscitato una speranza nel Paese e non permetteremo che venga rovinata da liste di proscrizione e lotte su organigrammi». Nessun problema interno? «Il problema c’è. Ma riguarda la linea politica, non le teste. Nel giro di una settimana sono stati commessi errori incredibili. In una sequenza bestiale abbiamo fatto dimettere i parlamentari, poi abbiamo fatto dimettere i ministri e quindi abbiamo deciso per la sfiducia. Tutto questo senza che mai ci sia stato un momento nel quale i panni sporchi si potessero lavare in famiglia». Berlusconi qualche responsabilità l’avrà pure avuta. «Posso dire che già martedì Berlusconi aveva deciso di adottare la scelta in favore della fiducia al governo che poi ha annunciato in aula. Ma nel Pdl c’è una nomenclatura che è diventata autoreferente, al punto di perdere il contatto con il Paese. Questa nomenclatura ha provato a far deragliare Berlusconi. Era evidente che quella linea avrebbe cozzato non solo contro gli interessi del Paese, ma anche contro i sentimenti di una grande parte del popolo di centrodestra. Quando mai è accaduto che in tre giorni un partito perdesse il 6% nei sondaggi?». Azzerare tutto e ricominciare da capo, come chiedono certi falchi, non è possibile? «Quanto accaduto non può essere azzerato. Chi dice “azzeriamo tutto” propone di non riconoscere la leadership che Alfano si è conquistato sul campo». Cosa accadrà allora nel Pdl? «Tre cose mi sembrano chiare. Prima: la riconferma della leadership di Alfano. Nel 2015 sarà lui a sfidare il candidato della sinistra. Accanto a sé avrà la classe dirigente che in questi giorni si è dimostrata all’altezza della sfida». Secondo punto dell’agenda? «C’è un partito che deve aprirsi, uscire fuori dalla logica della casetta. Soprattutto deve riconfermare la propria vocazione europea e la volontà di stare nel Ppe». Terzo. «Il Pdl deve aprire una sfida sui temi nostri come le tasse, la giustizia e la riforma dello Stato. Ma non può pensare di avere una politica per la quale il governo è stabile la mattina, inizia a vacillare a ora di pranzo e cade la sera. Per poi ricominciare il mattino dopo». Crede ancora nelle riforme? «Adesso più che mai. Un grande accordo costituzionale con la sinistra sarebbe il modo migliore per legittimare il ruolo storico che ha avuto Berlusconi: bipolarismo, alternanza e destra di governo sono patrimonio dell’Italia dal ’94. Il vero errore di questi vent’anni è stato non aver istituzionalizzato questa rivoluzione. Se riuscisse a farlo una classe dirigente nata dalla epifania di Berlusconi, sarebbe innanzitutto un successo suo». Insisto: crede che per fare tutto questo ci sia bisogno di un cambio di dirigenti? Ad esempio di un nuovo capogruppo alla Camera? «Si può ragionare insieme su come utilizzare le risorse. Ma se mi sta chiedendo se si possa semplicemente pensare che la competenza, la generosità e l’impegno di Renato Brunetta possano essere in qualche modo penalizzate, rispondo subito di no. Sarei il primo a fare le barricate». Vi siete combattuti e insultati in tutti i modi. Come potete adesso restare sotto lo stesso tetto? «A Berlusconi ho detto che da un punto di vista personale non ho alcun problema con chi si è trovato ad Arcore il giorno della richiesta delle dimissioni. Continuo a provare affetto nei confronti di Sandro Bondi, anche se mi ha gridato in faccia di tutto. E non accetterò che Daniela Santanché diventi il capro espiatorio di questa situazione. Il dramma però c’è, ed è che da mesi non riesco a comunicare politicamente con loro». Serve un congresso? «Il congresso è quello che si è giocato nei giorni scorsi dinanzi al Paese. Adesso dobbiamo consolidare la linea politica emersa da quel confronto, non azzerarla». Intanto c’è un tale Ulisse Di Giacomo, destinato a subentrare a Berlusconi nel momento in cui dovesse decadere da senatore. Costui prima ha spedito il proprio avvocato in giunta a chiedere la cacciata del Cavaliere. Poi ha detto: «Il mio rapporto è con Quagliariello, è un onore essere suo amico». Nessun imbarazzo? «Con Ulisse ho un’amicizia personale che non rinnego e penso che il partito con lui si sia comportato male. Non lo vedo e non lo sento da prima della campagna elettorale. Se avessi avuto occasione e tempo per parlargli, non solo gli avrei detto che mandare l’avvocato è stato un atto assurdo, ma soprattutto che difendere la legge Severino sul tema della decadenza non risponde alla verità delle cose». Raccontano che lei avrebbe ricordato a Berlusconi i problemi giudiziari di Raffaele Fitto, e che questo a Verdini non sia piaciuto. Ne sarebbe nato l’ennesimo litigio. «Pura invenzione. Negli ultimi mesi non ho avuto problemi con Fitto. Ho parlato di lui una sola volta col presidente. Fu quando mi chiese un consiglio dopo che Fitto aveva presentato le dimissioni da ministro, in seguito alla sconfitta alle elezioni regionali». E lei che consiglio gli diede? «Di non accettarle. Sarebbe stato molto grave confondere un problema di partito con un assetto di governo. Se negli ultimi tempi qualcuno avesse ragionato con lo stesso senso dello Stato, avrebbe dato consigli diversi a Berlusconi e sarebbe stato meglio per tutti». intervista di Fausto Carioti