pansa
Dopo i terremoti di questi giorni, affiora una grande speranza nel campo dei moderati. L’ha descritta con chiarezza Maurizio Belpietro su Libero di venerdì. Parlando di Angelino Alfano, ha detto: «La sua missione è di riunificare le anime del centrodestra in un grande movimento liberale». E nell’articolo di fondo, ha offerto un consiglio al ministro dell’Interno: «Salvi ciò che di buono c’è nel berlusconismo e costruisca la grande destra moderata italiana. Questa è l’unica sfida che potrà assicurargli non soltanto un futuro, ma anche un ruolo di primo piano sulla scena politica». Concordo del tutto con il consiglio di Belpietro. Però mi ricorda una canzone di Gianna Nannini: «Bello e impossibile». Certo, avremmo tutti bisogno di un buon centrodestra in grado di rimettere in equilibrio il sistema politico italiano. Se è vero che i partiti sono strumenti indispensabili per una democrazia parlamentare, l’Italia non può reggersi soltanto su un caotico Partito democratico e un movimento anarchico come quello di Grillo, pieno di volgari dilettanti alla Crimi, specialista in scorregge del Cavaliere. È indispensabile un terzo pilastro, quello moderato. Ma temo che nessuno, né Alfano, né un altro o un’altra, riuscirà a costruirlo in tempi ragionevolmente brevi. E adesso spiegherò perché vedo le cose con pessimismo. I guai del capo Il primo ostacolo sarà la lunga decadenza di Silvio Berlusconi. L’agonia è appena all’inizio. Dopo la decisione della giunta per le elezioni del Senato, il suo caso approderà nell’aula di Palazzo Madama. E lì, salvo sorprese, il Cavaliere verrà privato dello status di parlamentare. A quel punto, in teoria, potrebbe essere arrestato per decisione di qualcuno dei pubblici ministeri che lo inseguono da parecchio tempo. Mi auguro che questo non avvenga. Riterrei una follia spedire in carcere un signore di 77 anni che non ha nessuna intenzione di fuggire dall’Italia, perché altrimenti l’avrebbe già fatto. Ma ormai siamo uno Stato dove tanti magistrati sono in preda a un’ebbrezza da potere che eccita di continuo fantasie faziose al di là di ogni limite. Dunque è opportuno non escludere nessun colpo di scena. Tuttavia l’assenza delle manette non migliorerà di molto il futuro di Berlusconi. Il calendario che lo attende è massacrante. Deve scegliere se scontare la condanna di un anno agli arresti domiciliari o ai lavori sociali. La Corte d’appello di Milano si pronuncerà sulla durata della privazione dei suoi diritti civili. Poi riprenderanno i processi. Andrà in appello, sempre a Milano, quello per il caso Ruby. Un guaio che in primo grado l’ha già visto condannato a sette anni di carcere. A questo punto è inevitabile una domanda: con un percorso del genere, qui descritto in modo incompleto, può Berlusconi esercitare ancora, e in modo pieno, la leadership del Pdl e dell’intero centrodestra? La mia opinione è che non sia più in grado di farlo. Per un complesso di motivi pratici, psicologici, persino logistici. Neppure Superman riuscirebbe a guidare un blocco politico con milioni di elettori restando chiuso in casa perché ha scelto gli arresti domiciliari. Oppure vagando da un luogo pio all’altro per rieducarsi con i lavori socialmente utili. Anche un uomo dalle sette vite come il Cavaliere ne uscirebbe stroncato. E il passaggio dal massimo del potere al massimo dell’impotenza può essere un terribile fattore di rischio personale. Prima o poi, Berlusconi dovrà cedere il bastone del comando a un successore. Può essere Alfano l’erede giusto? Belpietro la pensa così e il Bestiario è d’accordo con lui. Non vedo altri personaggi del centrodestra in grado di proporsi come leader del Pdl. Del resto, come molti sostengono, Alfano e i dissidenti che lo seguono non hanno nessuna intenzione di uscire dal Pdl per formare l’ennesimo partitino di destra. No, Angelino e la sua truppa vogliono prendersi il Pdl per intero, sia pure a piccoli bocconi. Nella speranza che il governo Letta rimanga in piedi e possa lavorare ancora un paio d’anni, scongiurando il rischio di improvvise elezioni anticipate. Ma se questo è davvero il loro obiettivo, incontreranno molti ostacoli difficili da superare. Oggi tutti i partiti italiani sono in preda a una marasma senza precedenti. Non sono più strutture solide, con una gerarchia autorevole o autoritaria che nessuno osa mettere in discussione. Con programmi ben definiti e accettati anche da chi sta in minoranza. Con un seguito di militanti che, sia pure scontando una ragionevole differenza di posizioni, si riconosce in un vertice chiaro e saldo. Scelto da un congresso sulla base di criteri positivi: prestigio personale, chiarezza di propositi, metodi di governo lontani dall’incertezza. Nessun partito italiano è così. Abbiamo di fronte accampamenti di bande che si combattono e ci fanno rimpiangere le correnti di un tempo. I gruppi dirigenti sono divisi e in lotta l’uno contro l’altro. L’abbiamo ancora constatato in questi giorni in casa Berlusconi. Con l’andirivieni assurdo di falchi, amazzoni, colombe, lealisti, dissidenti, mediatori. Il declino dell’Italia, non soltanto economico, ma politico e culturale, si riflette anche nella società politica. Dove tutto si sfilaccia, si guasta, si decompone. Caccia al tesoro È un’illusione sperare che Angelino Alfano possa sfuggire a questo caos. Temo che avrà quasi tutti addosso. Anche perché, se la sua sfida è davvero quella di prendersi il Pdl, il tesoro da conquistare è gigantesco. Per rendersene conto è sufficiente ricordare quanti voti abbia saputo raccogliere Berlusconi nelle elezioni che lo vedevano sul campo. Nel 1994 convinse otto milioni di elettori, nel 1996 sette milioni e settecento mila, nel 2001 quasi undici milioni, nel 2006 nove milioni, nel 2008 tredici milioni e seicento mila, il suo record. E infine nel febbraio di quest’anno sette milioni e 300 mila, avendone persi per strada più di sei milioni. Bisogna riflettere su questa serie di dati, perché ci rammentano due verità. La prima vale anche nella vita di tutti i giorni. Più l’eredità di una famiglia è imponente, più diventa difficile raccoglierla e non disperderla. La seconda verità riguarda il centrodestra. È un blocco che si va sgretolando e non da oggi. Assistiamo ogni giorno a questo crollo. E ce lo conferma il professor Roberto D’Alimonte, il numero uno degli esperti in flussi elettorali. Sul Sole-24 Ore del 3 ottobre, ricorda che l’unità della destra italiana è stato il pilastro sul quale Berlusconi aveva fondato la sua strategia politica e costruito il proprio successo di leader pronto a governare. Ma oggi la destra si presenta divisa in molti tronconi. Prima se n’è andato Casini. Poi è uscito Fini. Poi ancora c’è stata la partenza di altri gruppi che si sono fatti il loro partitino, pensiamo ai Fratelli d’Italia e a storie simili. Adesso c’è la rivolta all’interno dello stesso Pdl. Berlusconi non è certo rimasto solo, ma ha di fronte il percorso di guerra che ho ricordato. Lo sgretolarsi di un blocco politico produce effetti malvagi in molte direzioni e in ambienti in apparenza lontani. Dal momento che sono un giornalista, non posso dimenticare le difficoltà crescenti della carta stampata che si rivolge a quel blocco. Riuscirà Angelino Alfano, con il suo gruppo di nuovi moderati, a evitare un collasso senza rimedio? Questo ce lo dirà soltanto il futuro. di Giampaolo Pansa