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Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, continua a ripetere che senza tagli della spesa non si potranno abbassare le tasse, considerata la situazione dei conti pubblici. L’unica speranza, a questo punto, è che il nuovo commissario per la spending review Carlo Cottarelli impugni in fretta le forbici, perché l’aria che tira è tutt’altro che incoraggiante. Soprattutto sulla casa. Mentre la sinistra, sfruttando l’indebolimento del fronte di centrodestra, ventila addirittura un rientro dalla finestra della seconda rata dell’Imu, si avvicina pericolosamente anche il momento in cui gli italiani dovranno fare i conti con la nuova Tares. E il salasso, in assenza di interventi correttivi, sarà inevitabile. L’incremento dei costi rispetto a quanto pagato lo scorso anno potrebbe essere addirittura di 2 miliardi di euro. Cifra che farebbe balzare l’incremento delle bollette relative al servizio di asporto rifiuti dal 2000 ad oggi addirittura al 67%. I numeri emergono da uno studio della Cgia di Mestre, condotto su 11 capoluoghi di regione, in cui si spiega che tredici anni fa ogni famiglia pagava mediamente 270 euro, mentre con il debutto della Tares l’esborso medio per ciascun nucleo famigliare dovrebbe attestarsi sui 451 euro. Fino all’anno scorso nei capoluoghi esaminati il pagamento dell’asporto rifiuti avveniva attraverso l’applicazione della Tarsu. Da quest’anno, invece, tutti gli 8.100 Comuni d’Italia dovranno adottare la nuova tassa che, sulla base delle prime rilevazioni effettuate, sembra essere molto più onerosa. Dall’analisi dei bilanci dei Comuni italiani (anno 2010) è emerso che lo scostamento tra quanto incassato con la Tarsu/Tia e il costo del servizio di raccolta e smaltimento ammonta a circa 0,9 miliardi di euro, stima che la Cgia reputa peraltro sottodimensionata. Soldi che saranno ora chiesti ai contribuenti, visto che la Tares dovrà assicurare un gettito in grado di coprire interamente il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, vincolo non previsto con l’applicazione della Tarsu. Non solo. L’imposta prevede una maggiorazione su tutti gli immobili di 0,3 euro al metro quadrato con la quale si andranno a finanziare i servizi indivisibili dei Comuni (illuminazione pubblica, pulizia e manutenzione delle strade, etc.). Una maggiorazione che, stando alle stime del governo, dovrebbe portare 1 miliardo nelle casse dello Stato. Il conto complessivo è presto fatto: 2 miliardi in più per le famiglie italiane. «Come è possibile che nel 2013 le famiglie paghino un importo così pesante», si chiede il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, «quando negli ultimi 5 anni di crisi economica la produzione dei rifiuti urbani è diminuita del 5 per cento e l’incidenza della raccolta differenziata, che ha consentito una forte riduzione dei costi di smaltimento, è aumentata di oltre il 30 per cento ?». La stessa domanda se la pongono anche alla Coldiretti, che sono in grado di quantificare, numeri alla mano, il calo dell’immondizia. Rispetto al 2007 la produzione di rifiuti degli italiani è calata dell’8%, con una riduzione per abitante di ben 42 chili. Complessivamente, a livello nazionale sono stati prodotti oltre 2 milioni di tonnellate di rifiuti in meno rispetto all’inizio della crisi, sottolinea la Coldiretti, «con un rilevante effetto dal punto di vista ambientale ed economico che però non si è trasferito nei costi che invece per i cittadini aumentano». di Sandro Iacometti