Sandro Iacometti

Andrea Tempestini

di Sandro Iacometti @sandroiacometti La tolgono, ce la ridanno, la diminuiscono. Il rischio, purtroppo, è che alla fine l’Imu la pagheremo lo stesso. E anche più salata. La questione dell’imposta municipale tiene da mesi gli italiani con il fiato sospeso. Prima la gara in campagna elettorale a chi la odiava di più. Compreso quel Mario Monti che prima del voto ci spiegava che la tassa non si poteva toccare, poi ci ha promesso che l’avrebbe tolta e, infine, solo qualche settimana dopo le elezioni, ci ha informato ufficialmente nel Documento di economia e finanza, che l’assenza dell’Imu sulla prima casa (e della rivalutazione delle rendite) a partire dal 2015 comporterà un buco nei conti pubblici di 11-12 miliardi l’anno. Alla fine, però, è arrivato Enrico Letta, che nel discorso di insediamento alle Camere, senza pensarci due volte, ha detto chiaro e tondo che a giugno non si pagherà nulla e poi, forse, si toglierà del tutto. Problema risolto? Per nulla. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, si sta scervellando da giorni sulle tabelle del bilancio pubblico per tirare fuori dal cilindro la necessaria copertura. L’intero pacchetto dell’Imu sulla prima casa vale 4 miliardi di euro su un gettito complessivo di 23,7 miliardi. Per sospendere la rata di giugno servirebbero 2 miliardi sull’unghia. Ma il problema è di poco conto. L’importante, infatti, sarà far quadrare il bilancio alla fine dell’anno. Ed è qui che sorgono i problemi. Le cifre contenute nel Def parlano abbastanza chiaro: rinunciare alla quota di entrate sarebbe troppo oneroso per le casse dello Stato. La stessa Bankitalia, dove fino a qualche giorno fa Saccomanni faceva il direttore generale, ha insistito sul punto, difendendo il mantenimento della tassa in un’ottica di stabilità dei conti pubblici. Ecco allora che si fa strada l’ipotesi dell’ennesimo trucco: mescolare un po’ le carte mantenendo il gettio invariato. Anzi, con l’ccasione anche aumentandolo un po’. Le ipotesi sul tavolo, per ora, sono tre. La prima, caldeggiata da tempo dal Pd, è quella di rimodulare le detrazioni per allargare la platea di chi non dovrà pagare l’imposta fino al 40-50% dei proprietari. Per farlo sarebbe necessario alzare la soglia della detrazione di base dagli attuali 200 euro a 600 euro. Secondo i calcoli del servizio politiche territoriali della Uil per ogni 100 euro di detrazione aggiuntiva lo Stato perderebbe 500 milioni. Resta, dunque, il problema di recuperare 2 miliardi di gettito mancanti, che in qualche modo dovranno essere spalmati sugli altri contribuenti. Una variante di questa ipotesi è quella proposta dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, di esentare dal pagamento chi ha un reddito Isee sotto i 15mila euro (pari a circa 30-35mila euro di reddito lordo familiare), due figli a carico e un mutuo residuo di circa 30mila euro. Ma il risultato sarebbe poco attinente con le promesse di Letta e, soprattutto, con i desideri del Pdl. La seconda soluzione piacerebbe alla Merkel. Si tratterebbe in sostanza di trasformare l’Imu in una tassa federale, sul modello tedesco, che sia legata alla rivalutazione delle rendite castali e gestita interamente dai Comuni o, in alternativa, dalle Regioni. In questo caso, però, occorrerebbe riformare il catasto, cosa impossibile da farsi in tempi stretti. L’ipotesi per ora più gettonata è la terza. E cioè quella di rivedere tutto il sistema della tassazione sulla casa e sui servizi sostituendola con una imposta nuova di zecca: la service tax alla francese. Si tratta, ovviamente, della soluzione più insidiosa. La nuova tassa incorporerebbe infatti anche la Tares e non sarebbe più destinata ai soli proprietari di casa, ma a tutti coloro che detengono o occupano a qualsiasi titolo un immobile o una superficie operativa. Sulla carta è l’Uovo di Colombo. L’Imu sulla prima casa non c’è più e il gettito è salvo. Il rischio, però, è che per gli italiani il conto non solo non diminuisca, ma addirittura salga. L’Ics (Imposta case e servizi) a cui sta lavorando Saccomani, infatti, si porterebbe in dote anche il miliardo aggiuntivo previsto dalla Tares più il gettito attuale di Tarsu e Tia. Complessivamente si tratta di 8 miliardi, che si andranno ad aggiungere ai 4 dell’Imu. Poi, come è successo per quest’ultima, può capitare che il gettito reale (23,7 miliardi) risulti più alto di quello stimato dal governo (21 miliardi). In altre parole, pagheremo tutti e pagheremo di più.