Il commento
Lo spread tra Nord e Sud Italiaparalizza la competitività in Europa
di Giuliano Zulin C’è lo spread fra i Btp e i Bund tedeschi che ammazza la competitività dell’Italia: le imprese pagano il 400% in più per avere soldi da investire rispetto a quelle teutoniche. Ma c’è un altro spread all’interno degli Stati, che non sono tutti uguali: in Germania c’è un Sud ricco (Baden-Wuttemberg e Baviera) e un Est più arretrato, in Spagna c’è la Catalogna che non si ferma davanti alla crisi e Murcia che vanta un Pil da zero virgola, in Italia c’è il Nord che tiene a galla l’economia ed esporta senza sosta contro un Sud sempre in panne. Ecco, in un mondo normale, i cavalli che corrono di solito vengono agevolati e non frenati: ebbene, nel Belpaese accade l’esatto contrario. E la colpa è della pubblica amministrazione, dei suoi costi improduttivi, della sua incapacità di mettersi a dieta. Per cui, per mantenere un mostro divora-soldi, lo Stato fa di tutto per danneggiare i cavalli buoni che tirano la carovana. Fuor di metafora c’è un problema europeo che si chiama residuo fiscale, ovvero la differenza tra entrate prodotte da un territorio e spesa effettuata per quel territorio. Ormai lo sanno anche i sassi che i cittadini di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto si vedono «rubare» fino a 6234 euro all’anno. Soffermandosi sul Veneto, in base a uno studio di Unioncamere, emerge che la pubblica amministrazione preleva dal territorio della Serenissima quasi 69 miliardi di euro l’anno (14000 euro a testa), mentre spende in servizi per il cittadino della Regione oltre 50 miliardi, pari a 10192 euro pro capite. Tirando le somme, le entrate superano le spese per 18,8 miliardi, ovvero 3820 euro per cittadino. È stato calcolato che dal 2001 al 2010 la Regione guidata da Luca Zaia ha «regalato» a Roma una cosa come 166 miliardi di euro: una cifra pari alle ultime tre manovrone salva-Italia. Un conto che arriva a oltre 300 miliardi se al posto del Veneto ci mettiamo la Lombardia. Lo scrivevamo un anno fa e lo ripetiamo: viste queste cifre basterebbe «vendere» il debito pubblico alle Regioni del Nord, in cambio di una piena autonomia fiscale, e il rosso dell’Italia sparirebbe in meno di 40 anni. Altro che patrimoniale. E altro che spending review alla romana: se solo si applicasse il modello Veneto a tutte le altre Regioni - scriveva ieri la Padania - si arriverebbe a risparmiare circa 30 miliardi e a fare a meno di oltre 500mila dipendenti pubblici. Invece «sembra di essere tornati ai tempi dei Vicerè, dove briganti e tagliagole attendevano la gente onesta per rapinarla, qualche volta con destrezza, qualche volta con tromboni ad acciarino in pugno», ha commentato Zaia la notizia della ripartizione del fondo di 800 milioni per i comuni italiani contenuta in un emendamento presentato in Senato. «A leggerlo non ci si crede», prosegue l’ex ministro: «L’Italietta dei professori e di quanti sono diventati più realisti di loro massacra i Comuni veneti per premiare quelli siciliani. Il risultato sarebbe 29 milioni a quelli veneti e 171 ai siciliani: praticamente una partita che finisce 5 a 0 perchè l’arbitro dà 5 rigori alla squadra più spendacciona, che per questo viene premiata». Ma la beffa non finisce qui. Perché se guardiamo il residuo fiscale fra le Regioni più produttive in Europa notiamo che quelle italiane sono in testa: la Lombardia ha un residuo dell’11,5% del Pil, il Veneto del 10,3%, l’Emilia Romagna del 10,1%, la Catalogna dell’8,1%, il Baden-Wuttemberg del 4,4% (stessa percentuale dell’Ile-de-France) e la Baviera addirittura del 3,5%. Intendiamoci: se Stoccarda e Monaco fossero costrette a rinunciare al triplo di quello che attualmente «regalano» a Berlino, sicuramente molte aziende ne soffrirebbero e la locomotiva tedesca diventerebbe un ricordo. La Mercedes ne risentirebbe, no? Come si fa a tenere in piedi un’Europa dove c’è questa concorrenza sleale, frutto di spread finanziari e spread fiscali? Lombardia e Veneto sono vittime di dumping da parte di Bruxelles, Berlino e Roma. Una situazione insostenibile, che spinge Zaia a minacciare il governo centrale: «Faccia attenzione, perché prima ancora della secessione cara alla Lega Nord, se ne sta svolgendo una strisciante, che è quella delle imprese, che delocalizzano appena oltre confine, in territori come la Carinzia, attratte da condizioni più vantaggiose. Se se ne vanno le partite Iva, se ne va l’occupazione, se ne va la ricchezza di un territorio», continua il Doge. E vogliamo parlare dei Comuni? «Se partono 15 o 20 comuni, o magari ne partono 581 (il totale dei municipi veneti) sarà un grosso problema per Roma. Forse la rivoluzione la faremo in maniera strisciante, latente, senza nemmeno scomodarci».