Spagna graziata per salvare l'euroA Madrid 100 miliardi dall'Ue
Cento miliardi di aiuti a Madrid forse basteranno ad evitare che la crisi dell’euro peggiori. Cento miliardi prestati ad Atene tre anni fa, quando si scoprì il «buco» nelle finanze greche, avrebbero probabilmente cancellato sul nascere i timori sulla solidità della moneta unica. Al contrario, la decisione di centellinare i prestiti allo Stato greco, in cambio delle riforme e dell’austerità, si è rivelata un cattivo affare. In questi tre anni, infatti, Atene ha assorbito almeno il doppio di quella spesa (anzi di più, se si tiene conto delle perdite del sistema bancario e i altri creditori). Ma, in realtà, il salasso è stato ben superiore: la comunità finanziaria, una volta preso atto che i Paesi più forti della Comunità non si sarebbero accollati l’onere di far fronte ai problemi dei più deboli, ha chiesto prima un «premio al rischio» più alto per i titoli di Stato più vulnerabili (compresi i Btp), poi ha avviato un gigantesco esodo verro i porti sicuri, ovvero i Bund tedeschi, i Bond Usa e i Gilt inglesi. Per la verità, né gli Usa né il Regno Unito vantano conti pubblici più solidi dell’Unione Europea: ma nessuno sano di mente può immaginare che il dollaro salti in aria perché si rifiuta di pagare i debiti della California o del New Hampshire, mica tanto meglio della Grecia. Al contrario, i mercati hanno capito, ahimè non a torto, che la ricetta tedesca («prima ti penti, poi ti do i soldi») era destinata a non funzionare. La tempesta a quel punto ha investito Portogallo, Irlanda, di nuovo la Grecia e si annuncia minacciosa sui cieli di Cipro. Ma, soprattutto, minaccia oggi la Spagna, domani l’Italia. La stessa Germania si ritrova intanto un conto salato: i crediti della Bundesbank s’aggirano sui mille miliardi; il contributo di Berlino ai vari meccanismi comuni di difesa, dall’Efsf all’Ems, raggiungerà i 500 miliardi su un totale di 900 miliardi. Di fronte a questi numeri dovrebbe venire il dubbio che, forse, non si è scelta la strada migliore. Ma a leggere le dichiarazioni di questi giorni si ha l’impressione che i vari governi abbiano capito ben poco della lezione degli ultimi mille giorni: da una parte la Spagna ha cercato di nascondere, per motivi di politica interna, la gravità della crisi bancaria. Dall’altra Berlino continua a esigere «garanzie». Insomma, oggi come tre anni fa si stenta a capire che, mentre si moltiplicano gli incontri e i piani più o meno segreti per salvare la Ue, il tassametro della crisi non si ferma. Anzi, il costo diventa sempre più salato. Gli aiuti a Madrid, in questa cornice, si presentano come una ciambella di salvataggio necessaria ma non sufficiente a mantenere a galla la vecchia eurozona. Tra pochi giorni, una volta reso noto l’esito delle elezioni greche, si dovrà rimetter mano al borsellino. Intanto, oltre Oceano, la Fed si tiene pronta a una nuova iniezione di liquidità ma anche a misure per sterilizzare la crisi europea: già oggi, del resto, le banche italiane non raccolgono un solo dollaro sulla piazza di New York. Per voltar davvero pagina, insomma, occorre qualcosa di più. Magari ridurre presto la pressione fiscale e mettere in tasca più soldi ai consumatori, anche perché la minaccia dell’inflazione, vista la disoccupazione galoppante e la carestia dei consumi, è davvero remota. Ovvero l’esatto opposto di quel che si pensa a Berlino. di Ugo Bertone