Papa
Sciopero della fame di Alfonso: "Carcere gabbia per maiali"
Fuma una sigaretta dietro l’altra perché da otto giorni, dice senza ironia, «seguo la dieta Pannella»: solo tre cappuccini al giorno, «con un poco di zucchero altrimenti non sto in piedi». Ma è intenzionato ad andare avanti Alfonso Papa, ex magistrato e deputato Pdl, uno dei principali accusati nell’inchiesta sulla P4 (concussione, favoreggiamento, violazione del segreto istruttorio), per cui ha scontato 101 giorni di carcere a Poggioreale e altri due mesi ai domiciliari. Sciopero della fame per denunciare la condizione dei detenuti italiani? «Ho cominciato giovedì scorso quando c’è stata la notizia, passata sotto silenzio, dell’ennesimo suicidio in carcere, un detenuto cinquantenne nel penitenziario di Sollicciano. Intendo protestare perché si tratta di veri suicidi di Stato. Ricordo che nel 2011 ce ne sono stati ben 63 e ormai abbiamo una media di cinque signori al giorno che si tolgono la vita. E rilevo che il tema non è nell’agenda del governo». La missione dell’onorevole Papa: fare conoscere la condizione disumana delle nostre prigioni? «Credo che sia fondamentale parlare di amnistia, che non deve essere un colpo di spugna, ma un modo per risolvere il problema. Poi bisogna eliminare la tortura della carcerazione preventiva, usata per finalità diverse per la quale è stata prevista ed è una tragedia nella tragedia». Sull’amnistia, però, un fuoco di sbarramento. «Anche il presidente della Repubblica ne aveva parlato contro la piaga del sovraffollamento degli istituti di pena. L’amnistia non deve essere presentata come uno strumento impopolare: è l’unica precondizione per tornare nello Stato di diritto. E poi chi è contrario finge di non sapere che abbiamo un’amnistia strisciante che si chiama prescrizione. Solo nel 2011 i procedimenti prescritti nel nostro Paese sono stati 180mila, un primato europeo e abbiamo il più alto numero di detenuti sottoposti a carcerazione preventiva». Ha sperimentato la reclusione sulla sua pelle: da ex magistrato a carcerato prima del processo. Questa è una battaglia per lei o per gli altri ancora dentro? «Per gli altri. Io oggi sono un uomo libero, anche se ci sono ancora dei procedimenti aperti. La gente non sa che in Italia ci sono galere dove i detenuti vivono ammassati in appena due metri quadrati a testa, al di sotto della soglia minima fissata dalla legge per i maiali da allevamento e un po’ di più degli spazi cimiteriali. Io so bene cosa spinge un detenuto a suicidarsi». Si è spesso definito un perseguitato, l’indagine ha colpito perfino sua moglie e ora è indagato anche per truffa ai danni dello Stato. Ha mai pensato di farla finita? «Mi ha salvato la famiglia, la solidarietà tra compagni di cella e l’idea, una volta fuori, di potere lottare per spiegare cosa significa essere schiacciati da questo mostro. Comunque sono convinto che il tempo mi darà ragione su tante cose». Eppure la riforma della giustizia, evocata spesso dal suo partito, langue. «Il Pdl ha nella sua anima i valori di libertà e di giustizia, sappiamo che l’amnistia diventa l’unico strumento per potere avviare un processo di riforma della giustizia. Quelli che si schierano contro, a cominciare dall’Anm, condizionano l’esercizio del potere sovrano del Parlamento e non fanno altro che rendere ancora più mostruoso il fardello della giustizia italiana. Lei si sta battendo anche con i Radicali... «Penso che la battaglia di civiltà per i nostri detenuti debba essere traversale e non capisco la logica giustizialista di una parte politica. Oggi sarò al direttivo di “Nessuno tocchi Caino”, a breve presenterò una proposta di legge sulla carcerazione preventiva in cui chiedo valga solo per i fatti di sangue e reati di vero allarme sociale». E intanto si litiga sul ddl anti-corruzione... «Vorrei che un tema così importante non fosse strumentalizzato dalle logiche di partito. Ricordo che fu proprio il ministro Giarda a dirci che il 40 per cento delle spese giudiziarie, in un momento in cui il Paese vive una crisi economica paurosa, è assorbita dalle intercettazioni abusate da alcune procure. Ma nel dibattito noto che prevale ancora la troppa voglia di attacchi politici, soprattutto nei confronti di Silvio Berlusconi, piuttosto che il desiderio di fare una buona legge che tuteli i cittadini». di Brunella Bolloli