Bechis: al corteo degli eritrei il vergognoso uso dei bambini
Per quasi tre ore di sfilata a una trentina di metri davanti alla testa del corteo degli eritrei sgomberati dal palazzo di via Curtatone a Roma, ma soprattutto delle associazioni per il diritto alla casa, c'erano tre giovani donne eritree ognuna con un passeggino in mano e un gruppetto di bambini fra i 3 e 6-7 anni che saltellavano intorno. Sembravano stessero a farsi una passeggiata per il centro di Roma approfittando della presenza di tanti connazionali. Erano addirittura davanti ai poliziotti e ai foto-cine reporter che per diversi motivi monitoravano quel che accadeva in cima alla manifestazione. Sembrava che nessuno si curasse di loro. Però verso il fondo di via Cavour avevano distanziato troppo il corteo, e un gruppo di uomini eritrei (forse i mariti) sono corsi da loro sgridandole, e chiedendo di fermarsi e attendere il camioncino con i megafoni che stava dando il ritmo alla manifestazione. Quelle madri e i bambini erano il clou della giornata, l'arma proibita sfoderata davanti a stampa e tv dai manifestanti. Arrivati al fondo di via Cavour all'angolo con via dei Fori imperiali esattamente tre ore dopo l'inizio del corteo, i manifestanti si sono allargati e hanno aperto il cordone di sicurezza con cui le associazioni per il diritto alla casa avevano fin lì protetto anche dai giornalisti gli sgombrati di via Curtatone. Si sono allargati tutti e un adulto ha messo in mano un megafono a un bambino talmente piccolo da scomparirvi dietro. E lui ha cominciato a comiziare quel che gli avevano insegnato a dire, un po' come a scuola si recitano le poesiole per le festività o per mamma e papà. Il bimbetto però qui urlava come gli avevano insegnato a fare con tutto il fiato che aveva nel suo corpicino: “Sono cinque giorni che siamo per strada. Non abbiamo mangiato, non abbiamo bevuto, non abbiamo giocato...”. Qui si è fermato e si sentiva che la cosa gli veniva dal cuore, perché sempre reggendo il megafono si è voltato verso la mamma: “Dove sono i nostri giochi?... Dove è la mia palla”. Ma la cosa non sembra essere piaciuta a chi lo aveva esibito come arma mediatica umana. Un adulto lo ha sgridato, gli ha detto di rivolgersi verso stampa e fotografi e lui ubbidiente ha ripreso la litania imparata. Ma anche questa volta ci ha messo del suo, aggiungendo “siamo cinque giorni senza luce là dentro”, e svelando così che dal palazzo lui e probabilmente parte della sua famiglia non se ne era affatto andato. Il bimbo era sicuro di avere finito il suo compito. Ma non era così. Bisognava insistere, e un uomo lo ha ripreso e riportato di forza al centro dell'arena che si era creata con il suo megafono in mano. Il poverino ha ri-iniziato: “Cinque giorni senza mangiare e senza bere. Vogliamo giocare...”. Per fare contenti gli adulti gridava più forte. E le sorelline ancora più piccole lì a fianco si tappavano le orecchie con le mani per difendersi. Si è girato verso gli adulti: poteva bastare? No. E allora daccapo: “No siamo bambini. Dormiamo per strada...”. Un adulto si è chinato su di lui. E il bimbo avanti: “vogliamo una casa! Non possiamo dormire per strada, ci devono dare una casa”. E via l'applauso di tutti che finalmente era di conforto. Tutti intorno hanno iniziato a gridare “Vergogna! Vergogna!”. E al piccolo finalmente è sembrato un bel gioco, e con quel megafono ci ha dato dentro superando la voce della folla: “Vergogna, vergogna!”, anche lui a ritmare lo slogan. A quel punto il mefagono è passato a un altro bambino, un po' più grande di lui (8-10 anni), con occhiali da sole e cappellino in testa: “Vogliamo la scuola, vogliamo la scuola! Vogliamo mangiare! Vogliamo mangiare! Vogliamo i giocattoli, vogliamo i giocattoli! Vogliamo la luce! Siamo senza uscire, cinque giorni!”. E anche lui, spinto dagli adulti: “Vergogna! Vergogna!”. La regia era sapiente e studiata. Era l'esposizione dei bambini l'arma (questa sì vergognosa) da fare esplodere nella giornata. Non la violenza che molti temevano e che ha reso necessarie misure di sicurezza straordinarie. Accanto al camioncino uno dopo l'altro si sono dati il cambio i comizianti di turno. Lì anche sono volate parole grosse, e gli interventi più applauditi sono stati quelli di un ragazzo di colore africano ma non eritreo che masticava con evidenza politica e ha concluso la sua requisitoria con un “Hasta la victoria sempre”, scandito poi da tutti in torno. L'altro intervento clou è stato di un signora italiano anziano sulla sedia a rotelle che apostrofava tutti (poliziotti, prefetto, Virginia Raggi, politici vari) con un ripetuto “nazisti”, e spiegava che per la costituzione antifascista tutti hanno diritto a una casa e se questa non viene data “andiamo a prendercela”. di Franco Bechis