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Guido Meda: "Soffro per Valentino Rossi. A Valencia gli servirebbe il CdM, vi spiego cos'è"

Andrea Tempestini
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Come stai? (Sì, come stai. Perché se Guido Meda lo conosci, sai che dopo Sepang sta soffrendo. Un po' come tutti. Probabilmente un po' di più). «Stanco morto. È anche un po' frustrante per certi versi: questa roba della Malesia, che sarà ricordata come un fatto epocale, non mi ha divertito molto. La vivo emotivamente in maniera abbastanza intensa, io». Lo sappiamo... «Sono considerato rossista fino al midollo, e tenendo fede all'etichetta che mi hanno appiccicato ti dico che sono più intenerito da Rossi che non mosso a giudicarlo negativamente per quella manovra. Dopo 20 anni, dopo averlo visto correre anche in modo duro ma sempre col suo diretto avversario, vederlo perdere le staffe perché c'è uno che col mondiale non c'entra niente e che palesemente gli vuole rompere le uova nel paniere mi dispiace». Ma Rossi ha sbagliato qualcosa? «Il singolo errore è quello che è stato sanzionato: portare Marquez largo in traiettoria. Però è miope non considerare quella manovra, sbagliata, nell'ambito di un contesto molto più ampio, in cui non era lui il carnefice, ma la vittima». Penalità giusta, ma folle che Marquez ne esca senza macchia... «Esatto». Avevi mai visto una roba del genere? «No, sicuramente non nelle gare che ho raccontato io, ma forse neppure nella storia del motociclismo. Quando non c'erano le telecamere se la facevano brutta in pista, si pigliavano a schiaffi e finiva in una roba tra uomini: Vale mi sembra più di quella generazione lì, Marquez no». Ecco, Marquez: si è rovinato la carriera? «Probabilmente sì. Si è messo contro il pilota più amato di tutti i tempi, e quando Rossi si ritirerà lui sarà ricordato come quello che forse, in fin dei conti, gli ha messo una pietra sopra in maniera neanche tanto comprensibile. Non sei quello che lo ha battuto in tutte le gare per tre anni di fila, sei quello che lo ha ostacolato alla penultima gara nell'anno in cui si giocava il mondiale, e che mondiale. Se fossi in Marquez, due grattatine alla coscienza me le darei. Sono deluso, l'ho sempre pensato come l'erede perfetto di Rossi, sotto tutti i punti di vista». Anche io. Ma ora, eufemismo, non mi è molto simpatico... «Di sicuro, ora, ci sono almeno due facce di Marquez con cui fare i conti. Con Rossi hai a che fare con una faccia sola, magari malefica e feroce quando c'è da giocarsi il mondiale. Invece qua...boh...». E Rossi, come sta? «Non lo so. L'unica notizia che ho di lui è quel tweet, che non mi ha sorpreso per nulla: nei momenti difficili della sua vita si è sempre rimesso in sesto alla svelta. Ma oltre non so andare: non riesco a leggere il retroprensiero di un tweet. Di sicuro non ho mai creduto che non avrebbe corso». Quando Rossi ha detto che Marquez voleva far vincere Lorenzo hai pensato che fosse impazzito o sapevi qualcosa in più? «Ma va, figurati. Ormai so leggere le sue espressioni del volto. Da subito ho cercato di smentire come potevo la sensazione, diffusa e comune, che quella di Valentino fosse una furbissima strategia di quelle usate negli anni per intimidire l'avversario. Ho capito immediatamente che non era tattica, era una sorta di grido d'aiuto: Oh, voi che gestite questo baraccone, occhio che succede un casino. Mi aspettavo che qualcuno intervenisse, era la cosa più furba da fare. E invece si arriva a un'ultima gara che probabilmente sputtanerà tutto». Cosa intendi? «Sputtanerà il senso di un mondiale in cui Rossi è stato in testa dalla prima gara, in cui con l'esperienza e l'intelligenza ha messo delle pezze clamorose a delle lacune di velocità rispetto ai suoi avversari più giovani». Sai che per me chi ne esce peggio, forse, è Lorenzo? «Un po' lo penso anch'io, al netto di Marquez la penso come te. Il fatto di pestare i piedi, di parlare di scandalo in conferenza stampa...cioè, guardati le immagini, prenditi del tempo, fai delle valutazioni. No, cacchio, non è stato capace». Se potessi tornare indietro nel tempo fino alla diretta, faresti un commento diverso dell'incidente? «Troppo facile col senno di poi. Seminavo qua e là il dubbio che il duello tra Rossi e Marquez non fosse quello che sembrava. Però durante la gara è difficile leggere la malizia: la vedi dopo, quando con calma studi i cronologici. Poi senti i piloti, le loro arrabbiature, rileggi i dati, ti fai un quadro della situazione... ». Andiamo oltre: Tutti in piedi sul divano. «No!» Che c'è? «Porca miseria, è la frase che è rimasta più impressa a chiunque. A me non è piaciuta, da subito, mi pare una roba da vocalist in discoteca: Su le mani, Rimini 2015! Mi sono detto: Guido, che livello basso, come ti è venuto in mente». A me piace tantissimo... «Ma non la dico mai! La avrò usata tre volte. Però dai, se a Valencia succede qualcosa di clamoroso...però dirti che lo faccio spontaneamente, con gusto, no». Le tue telecronache: c'è qualcuno a cui ti sei ispirato? «Assolutamente no. Però la cosa a cui mi sento più vicino è il racconto non televisivo ma efficace di Bruno Gattai, quando sciava Tomba. Forse è lui che mi ha insegnato una disinvoltura che cerco di portarmi appresso. Non mi piace, però, passare come l'accompagnatore urlante delle telecronache: nel mio racconto ci sono riflessioni, citazioni, opinioni. Vorrei che fosse un flusso editoriale concreto, non una sterile gridata». Tra l'altro, dopo 26 anni a Mediaset, portare la tua voce a Sky proprio in queste stagioni...bella botta di culo! (Ride) «Ti racconto un aneddoto. Arrivo a Sky da capo dei motori, e quest'anno, al primo Gp, nello stesso giorno corrono Formula 1 e MotoGp: vincono Vettel con la Ferrari e Rossi dall'altra parte. Ricevo un sms dall'ad di Sky: Da oggi impara bene il CdM. Il Consiglio dei ministri? No, arriva un secondo sms: Il culo di Meda. In quel momento ho capito che ho fatto la scelta giusta». Tra poco inizia Top Gear, tu e Joe Bastianich: com'è al volante? «È uno dei piloti meno tecnici ma più veloci e scriteriati che abbia mai visto. Pensavo fosse una pippa mondiale, ma va forte: gli manca un po' di tecnica, ma impara in fretta». Senti, ti auto-cito. Dal Catalogo dei viventi: “Mi hano detto di avere l'autostima di una 12enne bulimica. È vero: ho sempre bisogno di ricevere consenso”. Per questo che ti incazzi quando ti dicono che sei di parte? «Sì. Ed è la stessa ragione per cui mi godo meno quel consenso enorme che ho. Se qualcuno mi critica, ne soffro. Anche se ora ho imparato a fregarmene. Però, oh, il Catalogo dei viventi...con tutto quello che ho fatto in carriera ha messo in fila delle cagate... ». Tipo una frase di Aldo Grasso (“Era un grigio redattore sportivo di Mediaset, uno di quelli che la domenica vanno a bordo campo, fanno il temino per Piccinini [...]”, ndr) «Ah...bella questa. No, dimmi: quante partite di calcio ho raccontato nella mia carriera? Zero. Però, siccome è il professor Grasso che lo scrive, devo convincermi di aver fatto il bordocampista. Mannaggia... Ti dirò di più: credo che all'epoca, quando lo ha scritto, mi abbia confuso con il povero Alberto D'Aguanno». Parliamo del tuo libro (Il miglior tempo, Rizzoli, pp. 260). Tra mille aneddoti, racconti anche di aver pisciato nel serbatoio della moto di un tuo compagno del liceo. Tutto vero? «Assolutamente sì». Meraviglioso... «Mi aveva detto: Ti trovo io l'impianto elettrico per la moto. Me lo porta in un sacchetto di plastica, mi chiede 30mila lire e scopro che lo ha sradicato dalla moto di un mio amico. Ma dai! Mi avevano detto che l'urina non fa subito effetto, che il motore parte lo stesso. Ma poi, a contatto con la benzina, si formano dei cristalli che intasano tutto. E allora... Non lo rifarei. Ma lo ho fatto». L'emozione più grande: la prima corsa in moto o il primo volo in aereo? «Il primo volo da solo in cabina non ha eguali, lo metto quasi alla pari con la nascita dei figli. È il momento in cui un uomo ha davvero in pugno la sua vita. Una volta che sei lassù devi tornare giù. È un misto di paura, emozione, autostima, lucidità, razionalità, addirittura senso di onnipotenza». La paura più grande: il volo in Cessna dove hai rischiato grosso o lo schianto in Ducati dove ti sei rotto tutto? «In termini di paura quel volo là. Nell'incidente in moto la paura è stata forse più forte, ma molto più breve: sono per terra, sono tutto sfracellato, ma sono vivo. Lassù, invece, mi sono detto: qui non la porto a casa». La folle corsa in moto con Loris Reggiani, in strada a Philip Island, nel 2003. La velocità è una malattia? «Malattia...che brutta declinazione. Certo, come le malattie può portare a conseguenze gravi. Ma è più un gusto, una passione. Però, attenzione: la passione è per la guida piuttosto che per la velocità fine a se stessa, sul rettilineo a 300 all'ora». Corri ancora? «Qualche garetta in macchina. In moto quando posso vado in pista, ma non a correre: prendo i tempi con gli amici». Tu dici che i piloti non sono degli eroi: che roba è, per te, un pilota? «Sono quasi-oggetti. Si trasfigurano. Lo capisci quando li vedi da vicino: perdono la personalità e ne acquisiscono una trascendente. Ti tagliano fuori dal loro essere umani per diventare esseri pilotanti: chiudono la visiera e non li percepisci più come la persona simpatica con cui scherzavi un'ora prima. Per loro ho una forma di ammirazione: Dio, come vorrei essere te in quel momento. Non sono tanto umani. Ma eroi no. L'eroe è un'idea sacra: è qualcuno che rischia la sua vita per quella di un altro». Azzardo: il momento più bello della tua vita da motociclista è stata la corsa con Simoncelli, a Misano. «La battaglia col Sic è stata fighissima, una delle cose più belle che abbia mai fatto. Lo direi anche se fosse vivo: quel bastardo, lo dico con affetto, mi ha fatto pensare che fossi capace di combattere con lui in pista. Mi ha regalato 10 minuti da pilota di MotoGp, e io ingenuamente ho pensato fossero veri. Questo era il Sic, uno che voleva vedere gli altri divertirsi. Poteva prendere a andarsene, invece è stato lì con me a fare le staccate: grazie, che bello!». Un aneddoto che lo descrive più degli altri? «Ce ne sono tantissimi, troppi. Però mi ricordo un'irruzione in uno studio televisivo: non era d'accordo e doveva dire la sua. Contro ogni regola della tv: entra, si prende il microfono e parla. Il trionfo della spontaneità. Aveva una grande carica affettiva ed emotiva». Il pilota più simpatico. «Valentino Rossi». Il più antipatico. «Sicuramente l'ho pensato di Biaggi, salvo riabilitarlo quando me lo sono trovato al fianco come compagno di telecronaca. Abbiamo imparato a capirci. Con lui ho trascorso un anno bellissimo, in cabina di commento e fuori». Avete parlato del fattaccio di Sepang? «Abbiamo evitato, perché probabilmente torneremmo ad avere posizioni distanti». Il pilota più sfigato? «Il mio ex partner di telecronaca, Loris Reggiani, 16 volte non campione del mondo: li batte tutti. Anche Stoner, forzato dalla sua personalità, ha raccolto molto meno di quel che avrebbe potuto. Colpa del diasgio profondo che provava nel stare in mezzo alle persone ». Il più sopravvalutato? «Forse Gibernau. Un bravissimo pilota. Ma oh, in quegli anni c'era il Vale...». Un film? «Il giorno più lungo». Un libro? «Cent'anni di solitudine. Te lo cito perché mi è piaciuto moltissimo. Però leggo moltissimo i Wilbur Smith e i Forsyht, quella letteratura lì easy listening». Una canzone? «The sound of silence». Senti, torniamo al Vale: se non ce la fa, sarà il suo più grande rimpianto? «Come fa a non esserlo? Supera di gran lunga il 2006: là era caduto e lottava con Hayden lealmente, senza sospetti. Oggi, a 36 anni, dopo due anni in Ducati e due in sala d'attesa, torna, è in testa dall'inizo dell'anno e perde il titolo perché è successo tutto ‘sto popò di casino...». Ma ce la fa, il Vale? «E io che cacchio ne so?». intervista di Andrea Tempestini @anTempestini

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