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SCLEROSI MULTIPLA: VICINI AD UNA SVOLTA

Oltre 8mila ricercatori da tutto il mondo per il congresso europeo sulla sclerosi multipla, il più grande di sempre

Maria Rita Montebelli
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 E' stato l'anno dei record per l'edizione 2012 dell'ECTRIMS (European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis), il più grande congresso neurologico mai organizzato in Europa per una sola malattia, la sclerosi multipla, che pur non essendo una malattia rara, non ha di certo i numeri dell'Alzheimer o del diabete. Da quest'anno e per i prossimi due anni a guidare la Società Europea sarà la professoressa Maria Trojano che in un colpo solo ha polverizzato ben due record: la prima donna presidente dell'ECTRIMS e il primo presidente di nazionalità italiana, negli oltre 20 anni di storia di questa società scientifica. Questa malattia, che colpisce persone poco più che ventenni, condannandone molte alla disabilità, sta vivendo un momento magico, grazie all'arrivo di una serie di nuovi farmaci, dai meccanismi d'azione del tutto innovativi, disegnati nei laboratori di tutto il mondo.  “La sclerosi multipla – afferma il professor Giancarlo Comi, presidente della Società Italiana di Neurologia - in questo momento è una malattia all'avanguardia della metodologia del curare. Lo è diventata grazie ad investimenti farmacologici immensi e rappresenta un modello di come cureremo in futuro le malattie. Questa malattia insomma sta dettando la storia della medicina e ci sta insegnando molto anche sulle altre malattie neurodegenerative”. Tra le tante terapie in arrivo, molte promettono di allontanare lo spettro della disabilità e sono tanti gli studi sperimentali che guardano ancora più avanti, accendendo speranze concrete di poter un giorno non solo arrestare la progressione della malattia, ma addirittura ‘riparare' i danni provocati al sistema nervoso. Una doccia fredda invece è arrivata dallo studio CoSMO, organizzato e finanziato dall'AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) per verificare l'esistenza di una correlazione tra una particolare alterazione anatomica a carico delle vene che drenano il sangue dal cervello (CCSVI, Chronic Cerebro-Spinal Venous Insufficiency) e la sclerosi multipla. Il verdetto è stato ‘nessuna correlazione' e questo farebbe venir meno il razionale del cosiddetto ‘intervento Zamboni', dal nome del chirurgo vascolare di Ferrara che lo aveva proposto come cura per questa malattia. Studio CoSMO E' uno studio osservazionale made in Italy, atteso da tutta la comunità scientifica mondiale e finanziato dall'AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla). Vi hanno preso parte 1.800 tra soggetti normali, pazienti con sclerosi multipla e pazienti con altre patologie neurologiche. Qualche anno fa è stato proposto che alcune alterazioni di flusso a livello dei vasi venosi che drenano il sangue dal cervello (la cosiddetta CCSVI, Chronic Cerebro-Spinal Venous Insufficiency), potessero essere fonte di una stasi della circolazione a livello cerebrale; questo provocherebbe uno stravaso di globuli rossi nel tessuto nervoso, che a sua volta ‘accenderebbe' una reazione infiammatoria. Inizialmente si era pensato che questa potesse essere la causa della sclerosi multipla o almeno un fattore interferente. Da queste osservazioni aveva preso le mosse il cosiddetto intervento Zamboni, in pratica un'angioplastica sulle vene del collo parzialmente ostruite, per rimuovere gli ostacoli al drenaggio di sangue dal cervello.  “Si è trattato di una fuga in avanti – sottolinea Comi - che ha portato a praticare questo intervento su molti pazienti affetti da sclerosi multipla e ad organizzare un trial clinico sull'intervento Zamboni, finanziato dalla Regione Emilia Romagna, il BRAVE DREAMS, che alla comunità neurologica italiana è apparso prematuro; il trial infatti verte su una procedura interventistica, l'angioplastica venosa, non validata scientificamente e non scevra da potenziali complicanze. Uno studio presentato all'ECTRIMS, presentato dal professor Angelo Ghezzi dell'Università di Milano, che ha analizzato i dati relativi a 462 pazienti sottoposti all'intervento Zamboni, dimostra che questo intervento può esporre a gravi rischi quali la chiusura delle vene giugulari, l'ictus, l'infarto (che si sono verificati nel 3% dei trattati), a fronte di benefici modesti registrati solo in un paziente su tre”. Insomma è necessario mettere un po' di ordine e, se necessario, spegnere gli entusiasmi un po' prematuri per riportare tutti con i piedi per terra. “Per questo – spiega Comi - è stato organizzato lo studio CoSMO, che ha voluto valutare l'esistenza o meno di una correlazione tra la CCSVI e la sclerosi multipla. I risultati affermano senza ombra di dubbio che la CCSVI è presente in percentuali bassissime (circa il 3%) e perfettamente sovrapponibili in tutti i gruppi esaminati”. “La frequenza così bassa - conclude il professor Mario Alberto Battaglia, presidente della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM) -  abbinata con l'esigua presenza di CCSVI in tutti e tre i gruppi diversi di persone analizzate, tolgono ogni possibile dubbio ed eliminano la possibilità di un'associazione tra sclerosi multipla e CCSVI. Per curare la sclerosi multipla e sconfiggerla è necessario percorrere altre strade”. Sclerosi multipla e allattamento La sclerosi multipla colpisce spesso delle giovani donne (l'esordio è in genere tra i 20 e i 30 anni) in età fertile. Per questo molte ricerche sono incentrate su questo delicato e importantissimo periodo della vita della donna. L'Award 2012, indetto da Merck Serono per la migliore pubblicazione scientifica effettuata sulla Ricerca Clinica in Sclerosi Multipla (SM), è stato assegnato quest'anno al dottor Emilio Portaccio, per uno studio, pubblicato sulla rivista Neurology, riguardante il ruolo dell'allattamento nella SM. La SM è caratterizzata da una ridotta frequenza delle riacutizzazioni durante la gravidanza e da un netto aumento delle stesse subito dopo il parto. Le terapie modificanti il decorso della malattia (interferoni, glatiramer acetato, natalizumab) sono controindicate durante l'allattamento, quindi per curarsi le madri devono rinunciare all'allattamento. Ma alcuni studi condotti in passato suggerivano un ruolo protettivo dell'allattamento contro le recidive di SM. Portaccio e colleghi hanno dunque analizzato i dati relativi a 302 gravidanze; le madri con SM sono state seguite per almeno un anno dopo il parto. Nello studio italiano, l'allattamento non è risultato protettivo nei confronti del rischio di recidiva dopo il parto, che è invece risultato aumentato nelle donne che avevano presentato un maggior numero di recidive l'anno prima della gravidanza e durante la gravidanza stessa. Questo studio avrà importanti ricadute nella pratica clinica. L'allattamento non sembra dunque proteggere dal il rischio di attacchi di SM dopo il parto; alle donne con le forme più aggressive di malattia, dovrebbe dunque essere consigliato di rinunciare all'allattamento, per poter riprendere subito la terapia contro la SM. Porte aperte all'innovazione, senza dimenticare la prudenza Nei blog dei pazienti di tutto il mondo viene dato grande risalto alle nuove terapie in arrivo e a quelle ancora in fase precoce di sperimentazione. Ma è giusto che le novità vengano introdotte gradualmente, senza dimenticare mai la sicurezza dei pazienti.  “Oggi i farmaci di prima linea – spiega la professoressa Maria Trojano, presidente dell'ECTRIMS e ordinario di Neurologia presso l'Università di Bari - sono ancora gli immunomodulanti, cioè gli interferoni e il glatiramer acetato; sono le prime molecole usate in tutti i pazienti di prima diagnosi, senza segni di prognosi sfavorevole. Qualora ai controlli clinici o con la risonanza magnetica emergano segni di attività della malattia (al farmaco si richiede di ‘spegnere' completamente la malattia), si passa a farmaci di seconda linea, che attualmente sono il natalizumab e il fingolimod. Qualora anche questi farmaci non siano sufficienti a controllare la malattia si sale ancora più di livello, ricorrendo ad altre molecole, come il rituximab ed  al trapianto di cellule staminali ematopoietiche. All'orizzonte c'è una serie di nuove molecole orali, che potrebbero, a breve, diventare di prima linea, come la teriflunomide, il laquinimod e il BG 12.  Anche se comunque, almeno per i prossimi 3-5 anni, gli immunomodulanti continueranno a giocare un ruolo di primo piano nel trattamento di prima linea di questa malattia. Come seconda linea di trattamento, un'altra interessante molecola in arrivo è l'alemtuzumab, un anticorpo monoclonale con un'attività immunosoppressiva piuttosto aggressiva, da riservare ai casi con maggior attività di malattia.  Buone speranze esistono su un  futuro uso del  trapianto di cellule staminali mesenchimali anche per un loro  effetto ‘ riparativo' sulla componente neurodegenerativa della malattia”. L'italia prima della classe nei ‘registri di malattia' Uno dei modi più efficaci, per verificare la sicurezza delle nuove molecole sono i cosiddetti ‘registri di malattia', una sorta di cartella clinica del paziente, che lo segue lungo tutta la sua storia, attraverso tutte le terapie effettuate. “Questi registri, che devono essere di livello nazionale – spiega la professoressa Trojano - contengono tutta la storia del paziente, dall'esordio della sclerosi multipla in poi, e consentono di seguire anche l'effetto delle terapie, della sospensione delle stesse, del passaggio da una terapia all'altra, ecc. Per il prossimo futuro, c'è il sogno di una piattaforma europea che possa unire tutti questi registri, così da mettere a disposizione della comunità scientifica internazionale migliaia di cartelle e dunque una fonte enorme di conoscenze per capire bene quali sono i vantaggi e i limiti delle nuove terapie”. Il registro italiano si chiama IMED e raccoglie, su base volontaria, dati provenienti dai vari centri italiani; questi dati vengono tutti raccolti in un unico server centralizzato situato presso l'Istituto Mario Negri Sud di Chieti, che ospita un'importante unità di farmaco-epidemiologia, diretta dal professor Gianni Tognoni. IMED ha già raccolto 20.000 casi e rappresenta un esempio, anche per le altre nazioni, su come condurre un registro di malattia. Le nuove terapie al vaglio dell'EMA e dell'FDA BG-12 (dimetil-fumarato): è un farmaco ‘nuovo' nel campo della sclerosi multipla, ma già ampiamente collaudato nella vita reale come farmaco anti-psoriasi, una malattia della pelle. Formulato in compresse, è molto comodo da assumere per il paziente. “Gli studi appena pubblicati sul New England Journal of Medicine (il DEFINE e il CONFIRM)  – ricorda Maria Pia Amato, professore associato di Neurologia, Università di Firenze - ne hanno documentato un'efficacia di tutto rispetto sulla riduzione della frequenza delle ricadute (-50%), sul contenimento dell'evoluzione della disabilità (da -30 a - 40%, a 12 settimane), sulle lesioni cerebrali visualizzate alla RMN (- 70-80%) e sulla progressione dell'atrofia cerebrale ( - 20-30%). Il suo profilo di tollerabilità e di sicurezza inoltre è eccellente”. Il farmaco ha un meccanismo d'azione innovativo: da un lato agisce come anti-infiammatorio immunomodulante; dall'altro ha un effetto protettivo sul tessuto cerebrale, non solo secondario all'azione anti-infiammatoria, ma addirittura ‘primitivo'. “BG-12 – spiega la professoressa Amato - agirebbe attivando una via, detta Nrf-2, che la cellula normalmente mette in campo come meccanismo di difesa, di fronte ad uno stress ossidativo. L'attivazione di questa via da parte del BG-12 mette in funzione una serie di geni che hanno effetto anti-infiammatorio e neuro-protettivo: riducono i radicali liberi, aumentano la resistenza allo stress ossidativo, migliorano la funzione dei mitocondri e i processi di riparazione delle proteine e del DNA danneggiato. In questo modo il BG-12 protegge dalla neuro-degenerazione e dal danno assonale, che è poi il correlato della disabilità neurologica non più reversibile. Per questa sua attività potenzialmente neuro-protettiva, potrebbe aprirsi uno scenario di impiego del BG-12 anche in una serie di malattie neurodegenerative, come le malattie del moto-neurone e nell'ictus. Sui pazienti con sclerosi multipla con forma recidivante-remittente (SMRR) se ne potrebbe prevedere un impiego anche in prima linea di trattamento”. Il farmaco è attualmente al vaglio dell'EMA e dell'FDA. Potrebbe arrivare in Europa nella prima metà del 2013. Alemtuzumab: distrugge le cellule che attaccano il sistema nervoso; è una vera e propria bomba che distrugge i linfociti T e B. Il rovescio della medaglia è però che ‘scombina' il sistema immunitario  e può causare malattie autoimmuni secondarie (malattie autoimmuni della tiroide, trombocitopenia idiopatica, ecc). E' un farmaco però che messo a confronto con l'interferon, la terapia classica contro la sclerosi multipla, ha un'efficacia superiore del 50% nel proteggere dalla progressione della disabilità e ‘cancella' il 90% delle lesioni. Inoltre ha un effetto che si prolunga nel tempo per alcuni anni dopo la sua utilizzazione. Questo farmaco verrà probabilmente usato in molti malati in una certa fase della malattia; se poi si dimostrasse, come suggeriscono le prime sperimentazioni, che il suo uso precoce può addirittura spegnere definitivamente la malattia in alcuni pazienti, potrebbe diventare per questi un trattamento potenzialmente risolutivo. Laquinimod: è un farmaco diverso da tutti gli altri. La sua efficacia sulla disabilità è addirittura superiore alla sua efficacia nel limitare gli attacchi della malattia. Finora questo non si era mai visto con nessun'altra terapia. L'obiettivo di tutti i trattamenti disponibili fino ad oggi è stato quello di spegnere gli ‘attacchi', per limitare l'accumularsi del danno nel corpo del paziente. Questo farmaco invece limita gli attacchi meno di altre terapie, però ha un potente effetto sulla disabilità. È ben tollerato e attacca la malattia sul suo aspetto più grave, la disabilità.  Teriflunomide: ha un'azione sugli attacchi simile a quella che si ottiene con gli interferon somministrati per via iniettiva più volte la settimana; ma a differenza di questi il farmaco ha anche un impatto sulla disabilità, riducendo di circa un terzo il rischio di progressione della disabilità portata da questa malattia. E' un farmaco orale. Studi sugli animali hanno mostrato un potenziale rischio per il feto, se usato in gravidanza. Il futuro della ricerca Ocrelizumab (la forma ‘umanizzata' del rituximab, un anticorpo monoclonale ‘chimerico') è un farmaco che agisce sui linfociti B cioè sull'immunità umorale che negli ultimi tempi è stata rivalutata rispetto all'immunità cellulare (quella mediata dai linfociti T) nelle forme cronico-progressive della sclerosi multipla. DAC HYP (daclizumab high yeld process): è una terapia sottocutanea mensile, attualmente al centro di studi di fase 3, per il trattamento della SMRR (sclerosi multipla recidivante-remittente). E' un anticorpo diretto contro il recettore dell'interleukina 2 (IL-2) che ha un'azione pro-infiammatoria. Anti-LINGO 1: è un anticorpo monoclonale in fase precoce di sperimentazione. I primi studi sugli animali dimostrano che questo anticorpo favorisce addirittura la rimielinizzazione e la sopravvivenza degli assoni nervosi. Le ‘novità' delle vecchie terapie I ‘vecchi' immunomodulanti, come gli interferoni, non vanno ancora in pensione. Anzi, a detta degli esperti, saranno ancora utilizzati a lungo. “Nel medio termine – afferma la professoressa Maria Pia Amato - l'uso degli immunomodulanti rimarrà per i pazienti che stanno andando bene e che li tollerano bene, per i quali non si pone dunque il problema di un cambiamento. In futuro potrebbero esserci anche nuove formulazioni di questi farmaci auto-iniettivi, come gli interferoni ‘peghilati' che potranno essere somministrati una volta ogni 15-30 giorni”. Le istruzioni per l'uso delle terapie da poco arrivate sul mercato Alcuni potentissimi farmaci di recente introduzione nel trattamento della sclerosi multipla hanno destato qualche preoccupazione per la possibile comparsa di effetti indesiderati o di complicanze anche gravi. Gli esperti rassicurano sulla sicurezza del loro impiego, fornendo ai medici e ai pazienti delle ‘istruzioni' per l'uso, per continuare a godere di tutti gli effetti benefici di queste terapie, minimizzando al contempo il rischio di incappare in effetti indesiderati. Natalizumab: è un farmaco usato per le forme di sclerosi multipla recidivanti-remittenti. Qualche tempo fa è stata messa in dubbio la sicurezza di questo farmaco, per il supposto aumento di rischio di leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML), un'infezione virale del cervello, in grado di causare la morte del paziente o disabilità grave. Successivamente è stato appurato che lo sviluppo di PML è legato alla presenza di un'infezione da virus JC (JCV). Per questo le persone in terapia con natalizumab devono sottoporsi due volte l'anno ad un esame del sangue per verificare se sono venuti a contatto col virus. In caso di positività del test è opportuno (ma non sempre necessario) sospendere questa terapia. Fingolimod: è stata la prima terapia in compresse per la sclerosi multipla ad arrivare sul mercato ed è stata salutata per questo come una vera rivoluzione. Entrata nella pratica clinica dallo scorso dicembre in Italia, il fingolimod ha già tagliato il traguardo dei 50.000 pazienti trattati nel mondo. Questo farmaco riduce in modo significativo l'atrofia cerebrale causata dalla sclerosi multipla; non sono emersi inoltre segnali di pericolo sul fronte del rischio di malattie infettive, né di tumori. La prima dose viene somministrata in ospedale perché può dare un rallentamento del battito cardiaco, che si risolve spontaneamente, nell'arco di qualche ora. (LAURA MONTI)        

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