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Massimo D'Alema continua a rosicare: "Il fallimento del Pd è colpa di Matteo Renzi"

Cristina Agostini
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Non riesce a fare autocritica Massimo D'Alema. Se il Pd ha fallito la colpa è di uno solo: Matteo Renzi. Lui e gli altri che hanno comandato il centrosinistra negli ultimi decenni, invece, no. "Il Partito Democratico non ritroverà il suo ruolo se non fa i conti anche con l'esperienza di questi ultimi anni; con il fallimento dell'illusione neocentrista, dell'idea che assumendo la cultura e le movenze del berlusconismo si potesse acquisire uno spazio di consenso e un ruolo centrale di potere per una lunga fase", scrive l'ex premieri in un lungo intervento su Il Manifesto. Leggi anche: Liberi e uguali neppure chiamati alle consultazioni: non hanno i numeri per costituire un gruppo autonomo "Non sono riusciti - in un'altra epoca e con ben altri mezzi - Blair e Schroeder a trasformare le socialdemocrazie europee nel nuovo centro, figuriamoci se questa impresa poteva riuscire a Renzi e al suo gruppo dirigente", ironizza D'Alema: "L'attacco rozzo ai sindacati, il disprezzo verso i diritti dei lavoratori e degli insegnanti, la deriva personalistica che ha logorato e in parte demolito l'organismo collettivo del partito, l'avventurismo plebiscitario in materia di riforme costituzionali ed elettorali hanno generato non solo un crescente dissenso, ma persino rancore e rabbia di cui il Pd ha raccolto i frutti prima nel referendum costituzionale, poi nelle elezioni del 4 marzo". E conclude, convinto: "Non avevamo torto nel ritenere che l'unica possibilità di tenere aperta una prospettiva a sinistra era quella di separarsi dal Pd e mettere in campo una proposta nuova. La sinistra non ha perso perché era divisa come è stato ripetuto con una campagna petulante e vacua. Ben altre erano le ragioni. E nessun elettore ci ha rimproverato le scissione, semmai di esserci mossi tardi rimanendo così corresponsabili di molte delle scelte che erano state compiute".

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