Cerca
Cerca
+

Andreotti, una vita di misteri: da Moro a Sindona, dalla P2 al bacio di Riina

La morte dello storico leader Dc chiude per sempre la Prima Repubblica: golpe militari, dossieraggi, scandali finanziari, le stragi e gli omicidi di Cosa Nostra. E il Divo sempre al centro

Giulio Bucchi
  • a
  • a
  • a

  di Claudio Brigliadori "La situazione era un po' più complessa". E' un finto Andreotti a sintetizzare in poche parole il senso di una vita spesa per la politica. La vita di Giulio Andreotti, quello vero. In uno dei passaggi più intensi del Divo, il contestato (dallo stesso Andreotti) film-biografia di Paolo Sorrentino interpretato da Toni Servillo, il leader della Dc si trova di fronte al direttore di Repubblica Eugenio Scalfari. Che in un faccia a faccia tesissimo gli snocciola tutti i misteri di cinquant'anni di storia italiana intrecciata a quella del Divo Giulio: la mafia, la morte del generale Dalla Chiesa e quella di Aldo Moro, il suicidio fasullo del banchiere Roberto Calvi, l'assassinio per avvelenamento in carcere di Pisciotta e Sindona, la presenza della P2 e degli uomini di Licio Gelli nei gangli della macchina-Stato. "Delle due l'una: o lei è il più grande scaltro criminale di questo Paese, perché l'ha sempre fatta franca. Oppure è il più grande perseguitato della storia d'Italia".  Golpe De Lorenzo - Detto che Andreotti non ha mai apprezzato la ricostruzione di Sorrentino ("una mascalzonata", l'aveva definita alla prima visione, salvo poi fare parziale marcia indietro), in pochi minuti si susseguono uno dopo l'altro tutti i "gialli" di una stagione politica tra le più "complesse" della nostra storia. Questi, e altri. Passato più o meno indenne, negli Anni 50, tra il delitto Montesi e lo scandalo Giuffrè, tra scabrose trame private dei notabili Dc dell'epoca e truffe finanziarie, Andreotti tra Anni 60 e 70 consolida il proprio status di "Divo", al centro di tutto. Nel bene e nel male. Tira aria di golpe militare, al 1964 risalgono il "Piano Solo" e le trame del generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo, con azione di dossieraggio da parte del Sifar su centinaia di politici e sindacalisti. Nello stesso periodo, Andreotti era al Ministero della Difesa. Cambia decennio, non lo scenario.  Calvi, Sindona, P2 e Moro - Negli Anni 70 è il turno della P2, con il capo della Loggia Licio Gelli che incontrò più volte Andreotti. E alla P2 sono legati altri due grandi misteri degli Anni di Piombo: la morte di Giorgio Ambrosoli, assassinato nel 1979 da un sicario di Michele Sindona, sulla cui Banca Privata Italiana Ambrosoli stava indagando da commissario. E quindi l'avvelenamento in carcere dello stesso Sindona, avvenuto nel 1986. Un complesso intreccio che ha toccato di volta in volta mafia, servizi segreti deviati, alta finanza, Ior. E in mezzo, sempre lui: il Divo Giulio. Come nella tragedia di Aldo Moro, suo compagno di partito (e avversario). Qualcuno lo accusò di aver usato l'intransigenza contro le Brigate Rosse per disfarsi di un pericoloso rivale interno. Lui rispondeva ricordando che, all'epoca, aveva fatto anche il voto di rinunciare al gelato, sua unica grande passione oltre alla politica e alla moglie, pur di riavere l'amico a casa. Pecorelli, Dalla Chiesa, Chinnici - Gli Anni 80 sono quelli della mafia. Intesi come lotta a Cosa Nostra e come strategia delle stragi e degli assassini mirati che di lì a pochi anni colpirà duramente proprio uno degli uomini più vicini ad Andreotti, il suo "referente" in Sicilia Salvo Lima (assassinato nel 1992). E ancora, gli assassini mafiosi del giornalista di OP Mino Pecorelli (durissimo con Andreotti), del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e del magistrato Rocco Chinnici. Tre fatti di sangue messi sul conto di Andreotti: tutto mai provato, o smentito, nonostante le accuse di un pentito come Giovanni Brusca.  Il bacio a Riina - Il boss Balduccio Di Maggio rivelò di aver visto Totò Riina, il capo di Cosa Nostra, baciare "rispettosamente" Andreotti, nel 1987 a Palermo. "Se fossi andato davvero in Sicilia ad incontrare Riina in piena luce del giorno, non dovrebbero chiudermi in galera, ma in un manicomio", si difendeva con la consueta autoironia. Quel rapporto fu al centro della più devastante vicenda politico-giudiziaria dell'ultima stagione politica del 7 volte presidente del Consiglio. Processato per associazione per delinquere a Palermo, Andreotti è stato assolto in primo grado nel 1999 quindi, il 2 maggio 2003, assolto in Appello per i fatti successivi al 1980. La prima parte della sentenza, però precisava che Andreotti aveva "commesso" il "reato di partecipazione all'associazione per delinquere" "concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980", reato "estinto per prescrizione". Andreotti mafioso, dunque? Oppure le cose sono un po' più complesse?   

Dai blog