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A Fini assegno da 260mila euroQuanto ci costano i trombati

Matteo Legnani
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  di Franco Bechis Il più illustre dei «trombati», come l'ha definito ieri senza mezzi termini perfino la presidenza del Consiglio dei ministri sul proprio sito Internet, è il presidente della Camera, Gianfranco Fini. È lui il bocciato più celebre di questa tornata elettorale. Il suo partito, Futuro e Libertà, è praticamente scomparso: ha ottenuto lo 0,46% alla Camera, un terzo circa dei consensi pur ottenuti da Oscar Giannino dopo il caso delle false lauree e del suo falso master a Chicago. Così Fini che si era messo di traverso all'apparentamento con Giannino temendo giustamente di non ottenere nemmeno quei consensi, andrà a fargli compagnia nella società civile. A differenza del giornalista, Fini anche fuori dal Parlamento continuerà ad essere mantenuto dalle tasche degli elettori fino all'ultimo. Semplicemente costerà un po' meno di ora. Fra un paio di mesi intascherà l'assegno di fine mandato, che  dovrebbe ammontare a circa 260 mila euro netti. È una sorta di liquidazione che deputati e senatori ottengono quando non vengono più rieletti (o quando dovessero essere eletti nel Parlamento europeo). La considerano un diritto acquisito, pagato con le tasche loro, perché ogni mese sull'indennità lorda viene loro effettuata una piccola trattenuta. Così il giorno in cui lasciano ottengono quella liquidazione pari all'80% dell'indennità parlamentare lorda per ogni anno in cui sono stati in Parlamento e anche per frazioni di anno superiori ai sei mesi. Solo che quella trattenuta è virtuale: sono i contribuenti italiani a pagare la somma messa da parte, e peraltro non ci sarebbe alcuna possibilità per i deputati di intascare quella somma ogni mese e rinunciare alla liquidazione. È quindi un generoso regalo che i contribuenti fanno volenti o nolenti e che ha lo scopo originario di aiutare un parlamentare a reinserirsi nel mondo del lavoro, visto che probabilmente la lunga assenza per motivi politici crea qualche difficoltà di ritorno nella società civile. Per Fini non è questo il caso, visto che il suo mestiere è sempre stato fare politica, e in Parlamento era   per il 31° anno consecutivo. Avendo più di 60 anni,  potrà da aprile   andare in pensione, a spese del Parlamento e quindi pagato  dalle tasche di tutti gli italiani. Essendo stato eletto per la prima volta nel 1983 Fini può andare in pensione prima dei 65 anni, e ottenere il vitalizio per quasi tutto il periodo di mandato e solo per l'ultimo anno anche una integrazione calcolata sul suo stipendio con il metodo contributivo ora entrato in vigore. Si tratta di un assegno da 6.200 euro netti al mese circa, che è un bel premio a un'età ancora non veneranda, un privilegio evidente se messo di fronte alle regole (e agli importi degli assegni) che   valgono per tutti gli altri italiani.  Bocchino  e Di Pietro - Non è Fini l'unico dei bocciati celebri di questa tornata  a prendersi la rivincita dalle tasche degli elettori che non hanno voluto riconfermarli. Nel suo stesso partito è stato «trombato» - per stare al linguaggio tecnico di palazzo Chigi - anche Italo Bocchino, che è sempre stato la sua ombra. Lui   è ancora troppo giovane (classe '67),   quindi non potrà avere né vitalizio né pensione  per altri 17 anni. Come parlamentare però ha una buona anzianità (è stato eletto sempre dal 1996),   quindi potrà contare su un assegno di fine mandato di circa 150 mila euro.  Fuori dal Parlamento anche Antonio Di Pietro, che non è neofita nemmeno delle trombature degli elettori, visto che già una volta l'hanno bocciato. Prenderà una liquidazione da circa 60 mila euro, perché ne ha già ricevuta una in vita sua quando fu bocciato la prima volta. E potrà prendere dal mese di aprile la pensione da parlamentare (anche per lui in gran parte calcolata come vitalizio)  di circa 4.300 euro netti al mese. Bonino, Marini, Adornato - Fra gli esponenti di spicco che gli elettori non hanno più voluto in Parlamento ci sono anche due veterani della politica. Emma Bonino, vicepresidente del Senato uscente, otterrà una liquidazione da 60 mila euro e una pensione mensile netta da 6.500 euro. Franco Marini, già presidente del Senato, avrà una liquidazione da 188 mila euro e una pensione mensile netta da 5.300 euro (che si cumulerà con quella da sindacalista). Fuori dal Parlamento anche l'Udc Fernando Adornato: liquidazione da 112 mila euro e dall'anno prossimo (non ha ancora l'età minima) pensione mensile netta da 4.500 euro che si cumulerà a quella da giornalista.    

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