Matteo Renzi, con lui 39 miliardi di tasse: tredici volte più che con Enrico Letta
Il cinguettio è arrivato leggero di primo mattino. E sul profilo twitter di Matteo Renzi è apparso: «La legge di stabilità taglia 18 miliardi di tasse. Più soldi al sociale, meno tasse sul lavoro. Tutto è migliorabile, ma l'Italia cambia verso». Taglio di 18 miliardi di tasse? Quello era scritto nelle diapositive presentate dal premier la notte della prima approvazione della legge di stabilità. Ma non è mai stato scritto nel testo ufficiale della legge, nemmeno nella primissima versione, figurarsi poi in quella definitiva che ha dovuto farsi ancora più recessiva per venire incontro ai diktat dell'Unione europea. La verità, come sempre, sta nei numeri ufficiali, non nelle diapositive o nei cinguettii. E il prospetto di copertura della legge di stabilità appena approvata dice che nel triennio Renzi farà aumentare la spesa pubblica di 61 miliardi e 190 milioni di euro (16 miliardi in più nel 2015), e lieviteranno pure le entrate fiscali di 64 miliardi e 313 milioni di euro (10 miliardi in più nel 2015). Con questi numeri la legge di stabilità di Renzi sarebbe quella che ha messo più tasse in assoluto negli ultimi anni, altro che alleggerimento della pressione fiscale. Peggio addirittura della legge di stabilità 2013 firmata da Mario Monti. Il prospetto di copertura della manovra è questo, ma nasce anche da una scelta contabile che penalizzerà eccessivamente Renzi sui dati macroeconomici rispetto alla sostanza. Il ministro dell'Economia Piercarlo Padoan ha infatti contabilizzato la famosa misura del bonus sugli 80 euro per 8 miliardi di euro come maggiore spesa e per circa 700 milioni di euro come riduzione di tasse. Nei conti macroeconomici italiani (attenzione però, perchè a questi si riferiranno sempre le istituzioni internazionali, dalla Ue al Fmi, dall'Ocse alle agenzie di rating) il bonus è stato al 90% inserito come trasferimento dello Stato alle famiglie, quindi va ad aumentare la spesa pubblica e non a ridurre la pressione fiscale. Per le tasche degli italiani però la sostanza è che quegli 80 euro mensili sono una riduzione di tasse. Allora abbiamo corretto il prospetto contabile della legge di stabilità calcolando l'intero bonus come riduzione di tasse. Cambia, ma non radicalmente la musica. Con quella correzione infatti perfino nel 2015 è comunque previsto un aumento delle tasse in Italia: di 2 miliardi e 126 milioni di euro. Nel triennio della manovra le tasse aumenteranno così di 38,8 miliardi di euro (e non dei 64,3 scritti nella legge di stabilità), che sono una cifra comunque mostruosa. Lo si capisce ancora di più se si mette a confronto la legge di stabilità di Renzi con quella del suo immediato predecessore, Enrico Letta. In fondo il cambio della guardia a palazzo Chigi è stato motivato con la scarsa incisività della politica economica del governo precedente. E invece le cose vanno assai peggio di prima. La manovra di Letta era molto più virtuosa di quella di Renzi sia agli occhi degli osservatori economici internazionali che per le tasche degli italiani. In tre anni tagliava la spesa pubblica come chiedono all'estero di 5,2 miliardi di euro, e invece Renzi la aumenta di 35,6 miliardi. Sempre nel triennio Letta aumentava le tasse di 2 miliardi e 886 milioni di euro, una cifra che è 13,5 volte inferiore a quei 38,8 miliardi di aumento della pressione fiscale della attuale legge di stabilità. È vero dunque che Renzi ha cambiato verso: la politica economica italiana è tornata molto più vicina a quella del professore Monti, tornando bruscamente indietro dai timidi tentativi di Letta di distaccarsene. Pesano sulle proporzioni della stangata fiscale appena divenuta legge le cosiddette clausole di salvaguardia che agiranno soprattutto nel 2016 e nel 2017, facendo scattare ben tre aumenti delle aliquote Iva (quelle base e quelle intermedie) e l'ennesimo aumento della benzina e delle sigarette. Ora non sono più clausole, ma norme di legge che scatteranno come una ghigliottina sulla testa degli italiani. Sembra assai difficile trovare alternative nel 2015 che consentano di rimpiazzare gli oltre 10 miliardi previsti per l'anno dopo, tanto più che le previsioni di andamento del Pil non fanno presagire alcuna mano da parte del ciclo economico, che rischia di essere una volta ancora ben al di sotto delle previsioni del governo. Tra gli slogan e la realtà dunque c'è un solco profondo, e un po' se ne sta rendendo conto lo stesso Renzi. di Franco Bechis