A pochi giorni dalla decisione della magistratura sulla libertà di movimento che avrà Silvio Berlusconi (poca o nulla in caso di detenzione domiciliare, assai più se affidato ai servizi sociali), sembra cambiare il clima finora non ostile che ha accompagnato i primi passi del governo di Matteo Renzi. A segnare il nuovo clima una serie di incontri avuti da Berlusconi con alcuni consiglieri e con gruppetti di senatori del suo partito nelle ultime 36-48 ore. Sul piatto uno dei testi che meno convince una parte consistente del partito, ma che è legato all’accordo fatto dal leader di Forza Italia con il premier sulle riforme elettorale: la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie locali. Quel testo è difficile da digerire per molti senatori - e questo era previsto - e in ogni partito ci sono naturalmente corpose resistenze. Ma dai colloqui è emerso un problema più politico che tecnico. Che si riassume in una semplice domanda: perché mai Forza Italia dovrebbe tirare lì la volata a Renzi per le elezioni europee? Il premier come si sta vedendo in queste prime settimane di governo è un ottimo venditore anche dell’aria fritta, ma riesce a realizzare assai poco e probabilmente non ce la farà a dare i segnali promessi sul rilancio dell’economia in modo tangibile prima di quel voto che si trasformerà in una sorta di referendum sulla sua persona (con il rischio non remoto che la vera alternativa sia rappresentata dal Movimento 5 stelle di Beppe Grillo). Alla fine nell’arco di Renzi potrebbero esserci prima della fine di maggio due sole frecce: la nuova legge elettorale già approvata da un ramo del Parlamento e proprio la riforma del Senato decisa da un’assemblea di palazzo Madama che per fedeltà al premier dovrà suicidarsi. Che vantaggio avrebbe Forza Italia a mettere il tappetino sulla marcia trionfale di Renzi verso le europee? Da questo sono partiti i colloqui: nessuno. Ma se si vuole cambiare rotta, è necessario farlo adesso, perché se le perplessità dovessero emergere sulla fine della campagna elettorale, si tirerebbe una doppia volata a Renzi, che non solo giocherebbe la parte del campione delle riforme e del rinnovamento, ma avrebbe la possibilità di puntare il dito contro quei frenatori azzurri legati ai privilegi e all’antico. Per ribaltare quella partita bisogna quindi giocare d’anticipo, e in direzione diametralmente opposta. Un gruppetto di senatori guidati dall’ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini ha lanciato lì a Berlusconi la sua proposta: «Noi», hanno detto, «quel testo lì che fa finta di abolire una cosa che si lascia in piedi in modo confuso senza fare risparmiare quasi nulla alle tasche degli italiani non la votiamo. Rilanciamo con un emendamento semplice che prevede l’abrogazione del Senato e una serie di soluzioni per il personale». Idea che trova d’accordo anche il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri: «Anche secondo me non ha alcun senso il testo proposto dal governo, che per altro creerebbe confusione non facendo risparmiare che qualche milione di euro, altro che il miliardo promesso. Facciamo una proposta secca: abrogati Senato e Cnel. Nella lussuosa sede di quest’ultimo - a due passi da piazza del Popolo e servita benissimo da mezzi - ci mettiamo la conferenza Stato-Regioni. Parte del personale del Senato verrà progressivamente assorbita da altri organi costituzionali, e parte magari può rimanere lì in un palazzo da valorizzare e fare fruttare. Magari ci possiamo fare un bel museo». Dunque l’idea è quella di rilanciare sulla abrogazione totale dell’istituzione, che potrebbe dare un risparmio annuo di circa 300 milioni di euro invece degli 80-100 che verrebbero dalla proposta Renzi-Maria Elena Boschi (resterebbero comunque le pensioni da pagare ai dipendenti e i vitalizi e pensioni degli ex senatori). Al di là delle trattative fra i vari fronti e i timori che parte di Forza Italia ha di mandare all’aria quell’accordo istituzionale con Renzi, in ogni caso il gruppo di senatori dissidenti non voterà la riforma base sul senaticchio delle autonomie. A questo punto i numeri del manipolo diventano decisivi, perché la riforma può anche passare a maggioranza senza quei dissidenti, ma ne bastano 7 in questo momento per fare venire meno la maggioranza dei due terzi dell’assemblea. Se anche passasse il testo Renzi servirebbe quindi il referendum confermativo previsto dalla Costituzione. Difficile che gli italiani boccino alla fine una riduzione del perimetro della politica, ma i tempi si allungherebbero inevitabilmente perché il referendum potrebbe essere proposto da comitati di cittadini entro 90 giorni dalla pubblicazione della legge costituzionale di riforma. E ci sarebbero ancora 70 giorni per la campagna elettorale e il voto. Una complicazione che nel frattempo potrebbe mettere assai a rischio anche il testo dell’Italicum, che al momento non prevede il voto di un nuovo Senato. di Franco Bechis