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Montepaschi-Antonveneta, spunta il documento che incastra Mario Draghi

Matteo Legnani
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Chissà che avrà pensato, dopo essersi sgolato per prevenire, inutilmente, l' apocalisse. Chissà che carriera avrà fatto (o forse non avrà fatto) il dottor "A. Minnella", zelante direttore della Filiale 221 della Banca d' Italia a Padova. Il quale, nel marzo del 2007, avvertì con una minuziosissima ispezione/perizia i suoi capi a Roma che Banca Antoveneta era un' istituto appestato, in preda a un coma irreversibile, che non valeva nulla. E quante volte si sarà chiesto, il solerte e onestissimo funzionario, per quale motivo fosse sparito, ingoiato in qualche scrivania di palazzo Koch quel suo prezioso e riservatissimo documento che avrebbe potuto evitare il «peccato originale»? Ovvero l' acquisto di Antoveneta ad opera del Monte dei Paschi di Siena per 9 miliardi - che poi si sarebbero rivelati 17: l' operazione che fu l' inizio della devastazione del Monte e dell' intero sistema bancario italiano? Oggi l' avvocato cassazionista Paolo Emilio Falaschi, legale di un centinaio di piccoli e medi azionisti fregati dal Monte, tira fuori dalla sacche della burocrazia quel documento, che, in duro gergo bancario, parla ripetutamente dei vizi di una banca inavvicinabile: «persistenza di rilevanti criticità nei profili tecnici e l' involuzione del posizionamento competitivo», «accentuata problematicità che richiede immediate iniziative dei responsabili aziendali», «squilibrio economico», «sostenibilità a rischio». Avverte, il Minnella, che «la natura e la portata degli interventi necessitano di attento monitoraggio». E tutti noi ci chiediamo perchè diavolo di quello stesso documento (n. 254248 del 9/3/2007, «oggetto: situazione azinedale»), nonostante fosse arrivato, protocollato, a Palazzo Koch, non si sia tenuto conto. Anzi. Un anno dopo, con autorizzazione del 17/3/2008, lo stesso allora governatore di Bankitalia, Mario Draghi, benedì la nefasta operazione Monte-Antonveneta. Tra l' altro, il documento padovano era talmente completo che riconosceva- neppure tanto indirettamente- il disastro di Antonveneta nonostante i «parametri economici» della banca veneta fossero buoni, perchè sostenuti proprio da un prestito-monstre di quasi 9 miliardi alla stessa Antonveneta da parte degli olandesi di Abn Amro. Prestito che la banca olandese volle, ovviamente, ripagato, con le conseguenze che conosciamo. E dunque, Bankitalia grazie all' ispezione di cui sopra era al corrente - anche se l' avrebbe in seguito negato- pure del debito gravosissimo con Abn Amro. Insomma, lo scritto del mitico dottor Minnella è la prova documentale che i vertici di Palazzo Koch sapevano dall' inizio dell' enorme rischio per la banca senese e per il sistema. Lo sapevano il governatore Draghi, il direttore generale Saccomanni e la responsabile della Vigilanza Anna Maria Tarantola; divenuti col tempo, rispettivamente, presidente della Bce, ministro dell' Economia e presidente della Rai. Poi certo, confermò il tutto un rapporto del Nucleo Speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza; e ci fu un' operazione di fusione colossale avviata senza la necessaria due diligence; e scattarono i processi in falso in bilancio e ostacolo alla vigilanza. Ma tutto fu taciuto anche perchè sin dai tempi mussoliniani della banca centrale italiana, i nostri istituti di credito non potevano e non dovevano fallire. Ora il tema torna di stretta attualità, dato che la Commissione di Vigilanza sulle banche, nello scontro feroce ed inedito fra Consob e Palazzo Koch, indirettamente cita Draghi e gli anni di una vigilanza -diciamo- non troppo attenta e dai poteri di controllo inesercitati: tutta roba che tanti lutti addusse agli italici consumatori. Tra l'altro la stessa Commissione presieduta da Casini - martedì prossimo la nuova seduta - discuterà l' ipotesi di convocare gli ex vertici di Mps Alessandro Profumo e Giuseppe Mussari. Profumo, attuale amministratore delegato di Leonardo, assieme all' ex presidente Mps Fabrizio Viola, è già indagato dalla procura di Milano per ostacolo alla vigilanza. E per i i famigerati 5 miliardi derivati all' origine del dissesto del gruppo nei bilanci della banca tra il 2012 e il 2014 e nella semestrale al 30 giugno 2015 (senza i quali non ci sarebbe stato l' aumento di capitale di 8 miliardi) il gip Cristofano per i suddetti due amministratori ha disposto l' imputazione coattiva per false comunicazioni sociali e manipolazione del mercato (aggiottaggio), accogliendo l' opposizione all'archiviazione dell' avvocato Falaschi. Dice Falaschi: «Per la Procura le cause del dissesto di Mps non erano "esogene", ma "endogene" a Mps, cioè relative a mala gestio. E la mala gestio è individuata sia nell' acquisto di Antonveneta a prezzo spropositato che e alla pessima gestuone dei crediti deteriorati che ora stanno svendeno per quattro palanche. Vedi il caso Sorgenia De Bendetti..». Ma qui si apre un altro capitolo. Voci dal sen fuggite suggeriscono che, se abbandonati al loro destino giudiziario, Viola e Profumo potrebbero inchiodare Bankitalia davvero alle proprie responsabilità. Sai, allora, la soddisfazione per lo zelante e inascoltato dottor Minnella... di Francesco Specchia

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