Roma, 29 ott. (Adnkronos) - Ripreso dalle telecamere della Rai all'interno di un servizio sul 'Gaypride', un milanese oggetto della ripresa tv mentre era alla stazione di Milano per tutt'altro motivo (l'evento è il Gay pride del giugno 2000 a Roma e molti manifestanti si erano dati appuntamento alla stazione per prendere il treno per la capitale) ha chiesto di essere risarcito per i danni che a suo dire avrebbe subito trovandosi "collocato in un contesto che esprime un costume e un'identità che a lui non appartengono". La vicenda di E.C. è arrivata sino in Cassazione dove la Suprema Corte ha bocciato il ricorso, mettendo in chiaro che "un evento come il gay pride, unitamente al costume sessuale che esso rappresenta, è in sè del tutto lecito e privo di qualsivoglia profilo di intrinseca negatività, come sembra adombrare il ricorrente". La vicenda analizzata dalla Suprema Corte riguarda il Gay pride di Roma del giugno 2000. E.C., alla stazione di Milano lo stesso giorno delle riprese tv, si era riconosciuto nelle immagini messe in onda nel corso della trasmissione televisiva 'Sciuscià' dedicata al Gay pride e frutto di una ripresa nell'ambito della partenza dalla stazione centrale di Milano di numerosi partecipanti alla manifestazione del Gay pride. In primo grado, il Tribunale di Roma - 28 gennaio 2004 - aveva riconosciuto ad E.C. un risarcimento danni di oltre 20 mila euro "per la divulgazione non autorizzata della sua immagine". Il risarcimento veniva annullato dalla Corte d'appello della capitale nel luglio 2007. Contro il no al risarcimento, E.C. ha fatto ricorso in Cassazione, lamentando che "in manifestazioni del genere i partecipanti sono soliti esibire i loro costumi sessuali in modo plateale e volutamente esagerato". Un ragionamento bocciato su tutta la linea dalla Terza sezione civile che ha rigettato il ricorso di E.C. e ha fatto notare, tra l'altro, che se l'uomo "si trovava casualmente all'interno della stazione di Milano, senza alcun contatto con i manifestanti, è evidente che l'eventuale ripresa televisiva non potrebbe danneggiarlo, non essendo comunque collegabile la sua presenza fisica con la partecipazione alla manifestazione del Gay pride". La Cassazione fa inoltre notare che l'evento in questione è un fatto "di rilevanza mediatica" e chi si reca "in una stazione, anche solo di passaggio, o per prendere un treno o per svolgere proprie incombenze private deve accettare il rischio di poter essere astrattamente individuato nella folla dei passeggeri". E, tanto rientra, dice piazza Cavour, "se così può dirsi, 'tra i rischi della vita' che non ci si può esimere dall'accettare".