Se picchi chi vota Trump non è un problema
America a due “sensibilita'” . La scorrettezza politica di Trump, dichiarazione dopo dichiarazione, e' esaminata al microscopio dalla lente critica dei media, come e' ovvio e giusto che sia, e diventa sempre un caso nazionale negativo. Ma le violenze vere, in parole e in atti, contro i sostenitori di Donald vengono automaticamente purificate per la loro inerente “correttezza politica” e fanno notizia marginale, a fatica, soltanto sui media conservatori. E non diventano mai casi nazionali di scandalo anti DEM. Si stanno moltiplicando, infatti, gli attacchi e le discriminazioni contro i fans di Trump, ma senza approdare mai sui media mainstream. Il caso piu' clamoroso e' cio' che capita nelle universita', dove ci sono 280 sezioni di simpatizzanti per Donald. Finora, anche senza essere parte organica della sua campagna, hanno prodotto 5000 volontari esterni, che fanno propaganda fiancheggiatrice. O meglio, che vorrebbero farla in liberta' e protetti dalla Costituzione, al pari degli studenti per Hillary, o per Bernie Sanders. Invece, proliferano gli episodi in cui i militanti pro GOP vengono attaccati, discriminati e minacciati esplicitamente di violenze dai pro DEM. “Abbiamo ricevuto centinaia di email di studenti simpatizzanti per Trump che ci dicono di essere stati insultati nel mezzo dei loro campus, che lamentano di aver avuto le loro stanze e le loro proprieta' vandalizzate. Se uno ha un manifesto davanti al proprio dormitorio sulla finestra, lo rompono a sassate. Se uno studente ha il logo pro Trump sull'adesivo sulla macchina si ritrova i finestrini rotti o la carrozzeria rigata con le chiavi”, ha denunciato John Lambert, il vice presidente nazionale del gruppo Studenti per Trump. “La gente ci dice ‘certo, ci piacerebbe vestire una maglietta con su Trump e mostrare il nostro sostegno quando andiamo nei negozi o ad assistere alle gare sportive nel campus', ma non si sentono sicuri se lo fanno”, ha spiegato Lambert, 20 anni, che studia alla Campbell University a Raleigh, in Nord Carolina. Lambert e Ryan Fournier, il presidente, avevano fondato il gruppo nell'ottobre scorso per aiutare, attraverso i social media, il loro candidato preferito durante le primarie. Ora che il loro sforzo ha avuto successo, gli Studenti per Trump sono obiettivi ufficiali delle aggressioni cariche di odio degli avversari. Ma anche nella vita civile fioriscono esempi di discriminazioni volgari che non dovrebbero avere spazio in una campagna civile. In un ristorante californiano, il Cancun Inn di Sugar Loaf, nella Orange County, una giornalista di 61 anni, Esther Levy, con il suo berrettino rosso “Make America Great Again”, era stata gia' stata fatta accomodare al tavolo e aveva ordinato da bere, ma invece di essere servita e' stata cacciata in modo umiliante dal coproprietario, quando si e' accorto che era una fan di Donald. “Mangiati il tuo cappello”, ha titolato la notizia il New York Post, che ha raccolto la dichiarazione della donna, offesissima per il trattamento. “Ero choccata, imbarazzata, quando la cameriera e' tornata per dirci che dovevamo andarcene”, ha detto Levy, che era accompagnata dal giudice locale Alvin Goldstein . “Mentre stavamo uscendo, un signore che si e' presentato come coproprietario ci ha apostrofato ‘noi non serviamo sostenitori di Trump. Vattene e non farti mai piu' vedere' ”. Quando, tempo fa, i padroni di una pasticceria in Colorado, per obiezione di coscienza religiosa (che e' un valore costituzionale), si rifiutarono di accettare l'ordinativo di una torta per un matrimonio gay venne giu' il mondo, con condanna di discriminazione sessuale. Ora, la liberta' di pensiero rappresentata da un cappellino, diritto garantito dalla Costituzione, e' calpestata da un intollerante di sinistra che sa che non avra' alcuna conseguenza d'immagine, e tantomeno legale, per il suo atto di disprezzo verso una cliente che sosteneva un candidato presidente votato da 13 milioni di americani alle primarie. di Glauco Maggi twitter @glaucomaggi