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Il mondo sapeva delle foibe dal 1946: il nuovo documento e i tanti altri armadi della vergogna

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Tempus omnia revelat. Delle Foibe si sapeva tutto fin dal 1946: lo dimostra un documento rarissimo appena scoperto dal Circolo Monarchico Dante Alighieri e rilanciato dal sito www.italiacoloniale.com QUI
Si tratta di un reportage, con tanto di foto, stilato dal giornalista Jean Morena per la rivista belga  “Europe Amerique” del 24 ottobre 1946.
Nell’articolo di sette pagine si denuncia la strage di italiani a Fiume e in Istria  ad opera dell’OZNA - la terribile polizia politica di Tito - e dei reparti speciali di liquidazione dell’Armata Jugoslava (KNOJ).
La rivista è spuntata fuori dall’Archivio-Museo storico di Fiume di Roma, era nel fondo “Riccardo Zanella” (capo dell’autonomia fiumana e antifascista). Il direttore del Museo Marino Michich commenta: “Il mondo sapeva delle gravissime persecuzioni  contro gli italiani e i «nemici del popolo», da parte del regime comunista jugoslavo di Tito. Vennero così in poco tempo massacrati nelle foibe e nei campi di concentramento tutti gli italiani che erano di ostacolo all’imposizione della nuova dittatura jugoslava. Anche gli autonomisti di Fiume, antifascisti e democratici furono assassinati da sicari della polizia segreta jugoslava “OZNA”. Dopo il 1947 cadde il silenzio sui crimini commessi nei confronti di oltre 12.000 italiani di Trieste, Gorizia, Pola, Fiume, Zara”.
(Occorre ricordare, tuttavia, che i massacri titini erano iniziati subito dopo l’8 settembre ‘43, alla liquefazione del Regio Esercito badogliano, finché tedeschi e repubblicani non ripresero il controllo del territorio, qualche mese dopo, facendo cessare la prima “ondata” di infoibati).
Ora, questo documento emerge giusto in concomitanza con le polemiche suscitate dal prof. Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, che ha convocato, in occasione del 10 febbraio - con grande tatto per le famiglie delle vittime - un convegno sul tema: «Uso politico della memoria e revanscismo fascista: la genesi del Giorno del ricordo».
Attaccato da vari giornali, Montanari si è difeso dichiarando: “L’università fa il suo mestiere di ricerca ed espressione del pensiero critico senza schierarsi politicamente”. Quindi, vista la dichiarata equidistanza, l’anno prossimo vedremo il rettore presiedere un convegno “sull’uso politico della memoria dell’Olocausto”? Magari sbagliamo, ma non sembra molto plausibile. 
In ogni caso, la storia si fa sui documenti, e l’articolo di Jean Morena è il migliore contributo al dibattito suscitato da Montanari in quanto dimostra proprio l’uso politico che si è fatto, dal 1946 al 2004, della memoria delle Foibe attraverso la negazione e la censura politica: direttamente responsabile quel Partito Comunista Italiano che, nella logica spartitoria del potere, d’accordo con la Dc, aveva militarmente occupato il mondo della cultura. Il seminario di Montanari rende anche involontariamente giustizia a quegli storici postfascisti, alla Giorgio Pisanò, che già negli anni ’50 scrivevano di Foibe, ovviamente inascoltati.
Giampaolo Pansa attinse a piene mani a quegli accurati repertori, disarticolando brutalmente la vulgata resistenziale, ma sono ancora tanti gli “armadi della vergogna” da riaprire sulle foibe.
Per esempio - commenta il ricercatore storico Massimo Lucioli – si parla sempre dei titini, ma non si menzionano i partigiani rossi italiani che «lasciarono fare», o parteciparono a quei misfatti. Basterebbe ricordare l’«Eccidio di Porzûs»: nel febbraio ’45: diciassette partigiani bianchi/socialisti della Brigata Osoppo, furono trucidati da una brigata partigiana  del PCI, (capitanata da Mario Toffanin detto "Giacca"). La loro colpa? Insieme ai repubblicani, volevano difendere i nostri confini dalle orde yugoslave intenzionate a impadronirsi di tutto il Veneto. E come non ricordare il «Treno della Vergogna», il convoglio che trasportava ad Ancona alcune migliaia dei 270.000 profughi istriani e dalmati, che fu preso a sassate dai comunisti, i quali versarono sulla banchina il latte destinato ai bambini affamati. Allora c’era un diverso concetto di «accoglienza»”.
Da qui si capisce perché l'estrema sinistra italiana si oppose all'istituzione del Giorno del ricordo istituito con legge n.1874 del 2004: i quindici “no” alla Camera furono espressi dal Partito dei Comunisti Italiani e da Rifondazione Comunista. Sul sito della Camera, fra i contrari, restano i nomi di Oliviero Diliberto, Armando Cossutta, Marco Rizzo,  Nichi Vendola e Giuliano Pisapia.
Chissà se quei deputati erano bene informati sui dettagli: l’uccisione per infoibamento era crudelissima. I nostri compatrioti venivano legati con del filo di ferro ai polsi, e schierati sull’argine di questi crepacci carsici. Poi i comunisti sparavano trapassando i primi due o tre che, precipitando nella foiba trascinavano tutti gli altri, condannati così a sopravvivere per giorni in quelle voragini fino a morire di fame, freddo e per le ferite.
Lo si sapeva dal ’46, ma qualcuno ancor oggi, vorrebbe rimettere tutto sotto al tappeto. 
Ma questo documento apre uno squarcio su un vero abisso di storia obliterata e censurata. Gli "armadi della vergogna" sono ancora tantissimi e per un neolaureato in storia si tratta di una vera e propria "foresta vergine" tutta ancora da esplorare. 
"Basti pensare - prosegue Massimo Lucioli - ai fascicoli dimenticati, ad esempio, sulla guerra aerea terroristica degli Alleati, che mitragliavano gratuitamente i civili italiani per esacerbare la popolazione verso il Regime. Tanto per dare un’idea di ciò che non si sa, i primi a bombardare il territorio nemico furono gli inglesi, il 9 settembre 1939, a danno della Germania. In tutto l’arco della guerra, i tedeschi scaricarono sull’Inghilterra 70.000 tonnellate di bombe (incluse V1 e V2)  provocando circa 50.000 morti; gli Alleati ne sganciarono 1 milione  e 600.000 sulla Germania, 24 volte tanto, causando 800.000 vittime. Si potrebbe anche trattare dei campi di concentramento alleati: 130.000 prigionieri di guerra tedeschi furono lasciati morire di fame, stenti e malattie nei campi francesi di Sinzig, Andernach, Thorree, Nizza, Langres, etc. (200.000 stimati dalla Croce Rossa internazionale) cui si devono sommare altri 800.000 militari tedeschi fatti morire nei campi di concentramento  americani sul Reno, a guerra finita. Questo avveniva in ossequio alla direttiva JCS 1067 la quale recepiva il piano di “carestia artificiale” (con la ruralizzazione della Germania sconfitta) messo a punto dal sottosegretario al tesoro Usa Henry Morgentahu jr. e che produsse, dopo la conferenza di Postdam, dal 1945 al ’50, oltre 5 milioni di morti civili tedeschi. Ancora nell’inverno 1947, il tasso di mortalità neonatale in Germania era oltre il 90%, ovvero 16 volte superiore a quello del 1942, quando il paese era in piena guerra. Per non parlare del capitolo, tutto ancora da scoprire, delle marocchinate in Germania sudoccidentale”.
Non è una questione di "bilancia" fra chi ha fatto meglio o peggio degli altri. Il punto è che la verità storica va detta TUTTA. 
Quindi, attenzione a parlare di “uso politico della memoria”: la censura e l’omissione contano quanto la propaganda esplicita.

 

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