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Benedetto XVI, la rinuncia è invalida: il parere del giurista Patruno

E in tal caso l'elezione di Bergoglio non sarebbe mai esistita

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Da due anni abbiamo cominciato ad occuparci di una questione che, nonostante rimanga pressoché ignorata da media laici e cattolici, costituisce il nodo chiave e ineludibile di tutto ciò che riguarda le turbolenze in seno alla Chiesa cattolica. Capire se papa Benedetto XVI abbia abdicato oppure no, non è esattamente una questione secondaria:  E’ TUTTO. Se le sue “dimissioni” non sono valide, il conclave che ha eletto nel 2013 il card. Bergoglio era invalido, quindi “il papa Francesco” non sarebbe mai esistito, sarebbe un antipapa, come tale non assistito dallo Spirito Santo. Nulla di quanto fatto da lui in otto anni di pontificato sarebbe valido e tutti i pontefici eletti nella sua linea successoria sarebbero altrettanti antipapi. Quindi, la Chiesa cattolica sarebbe finita, almeno per come la conosciamo, a meno che non venga riconosciuta l’invalidità dell’abdicazione di Ratzinger. Ne abbiamo scritto QUI

Ecco perché varrebbe la pena applicarsi alla questione almeno un poco e appare abbastanza curioso come molti cattolici legati all'ortodossia continuino a contestare Francesco senza domandarsi se sia o non sia legalmente il papa, e quindi se sia o meno assistito dallo Spirito Santo.

Dopo tutto, qualche indizio per farsi venire un dubbio è emerso: lo stesso Benedetto XVI nel libro intervista di Peter Seewald “Ultime conversazioni” (Garzanti 2016), ha scritto qualcosa di chiarissimo in merito alla propria presunta rinuncia: “Nessun papa si è dimesso per mille anni e anche nel I millennio è stata un’eccezione”. Ora, siccome nel I millennio si sono dimessi sei papi e nel II millennio se ne sono dimessi quattro, Ratzinger non può che riferirsi a quei pochissimi che, nel I millennio, cacciati dagli antipapi, furono costretti a rinunciare solo alle funzioni pratiche, al ministerium, restando papi a tutti gli effetti come avvenne per Benedetto VIII. Del resto, stando alla Declaratio del 2013, Benedetto XVI conserva ancora il munus petrino, il titolo di papa. Quindi, se lui, come dice nel libro di Seewald, si è dimesso solo quanto alle funzioni pratiche, non ha abdicato e  il papa è uno solo: lui. QUI

Abbiamo già ricostruito l’ipotesi, tracciata da vari autori, secondo cui tutto questo potrebbe essere stato fatto apposta, QUI.

Pare proprio che queste dimissioni facciano acqua da tutte le parti: praticamente tutti gli aspetti canonici che potevano invalidarle sono stati coinvolti e, sicuramente, Benedetto XVI nei suoi anni successivi da “papa emerito” non ha aiutato a fare chiarezza, dichiarando sempre “il papa è uno”, senza mai specificare quale nonostante le forzature della stampa mainstream QUI

Avevamo chiesto a 20 canonisti della Sacra Rota qualche delucidazione, ma nessuno di loro ha risposto QUI  Un segnale non incoraggiante.

Finalmente un esperto di diritto canonico ha accettato di rispondere ad alcuni quesiti. Si tratta dell’avvocato Francesco Patruno, Dottore di ricerca in scienze canonistiche ed ecclesiastiche, autore di diverse pubblicazioni in ambito giuridico.

 

D. Avvocato, parliamo innanzitutto di quegli strani errori di latino nella Declaratio, già individuati da famosi filologi, nel 2013. Ratzinger tre anni dopo dichiarò al Corriere di aver scritto in due settimane la Declaratio in latino perché conosce perfettamente quella lingua e temeva di fare errori. QUI  Se non bastasse, il documento passò anche al vaglio della Segreteria di Stato. QUI  Questi sbagli  rendono la Declaratio di rinuncia scritta non “rite manifestetur”, ovvero debitamente?

R. “Il “rite manifestetur” del can. 332 § 2 C.I.C., a mio avviso, non intende riferirsi alla circostanza che una dichiarazione di rinuncia sia manifestata senza alcun errore sintattico o grammaticale: la canonistica, in effetti, l’ha sempre inteso nel senso che la grave decisione assunta da un Papa sia manifestata, esternata debitamente affinché, dal punto di vista del diritto, sia potenzialmente conoscibile dalla Chiesa, allo scopo di poter determinare la vacanza della Sede Apostolica e, perciò, l’inizio della procedura di elezione del successore nell’ufficio.Insomma, la rinuncia perché sia valida non deve essere formalizzata in un certo modo: l’importante è che sia esternalizzata e la modalità sia idonea a tale scopo.

Non saprei se la presenza di errori grammaticali o sintattici sia tale da far pensare ad una scarsa lucidità. Forse dovrei pensare che un soggetto abbia potuto scrivere di getto, senza rileggere e rivedere la forma. Se, comunque, dovesse provarsi la scarsa lucidità del soggetto – cosa difficilissima da provare –si potrebbe ravvisare, a mio modo di vedere, un difetto di libertà interna del soggetto dichiarante, con conseguente invalidità del suo atto”.

D. Quindi al limite, quegli errori potrebbero essere stati inseriti solo per richiamare l’attenzione sugli aspetti giuridici del documento. Entrando più nel merito, cosa pensa della dibattuta questione sull’inversione fra rinuncia al ministerium, (esercizio pratico) piuttosto che al munus (titolo divino)?

R. “Magari, assieme ad altri argomenti, può assumere un significato, sebbene per me non sia decisivo. A volte i due termini sono stati usati come sinonimi e forse Ratzinger ha usato l’uno o l’altro per evitare una ripetizione. Personalmente, piuttosto che parlare di ministerium e munus, preferisco parlare di papato attivo e passivo, usando la stessa terminologia adoperata da Benedetto XVI nella sua ultima udienza generale nel febbraio 2013”.

D. E il fatto che Benedetto scriva “dichiaro di rinunciare”, al posto di “rinuncio”, ha delle valenze giuridiche?

R. “Potrei rimarcare che dire “dichiaro di rinunciare” sia un mero annuncio, mentre usare l’espressione “rinuncio” sia la concretizzazione di quanto annunciato. Nel gergo avvocatesco talora si ritrovano queste sottigliezze negli atti quando si legge “Tizio intende proporre, come propone” o “Caio dichiara di accettare, siccome accetta ….” o espressioni similari proprio per evitare che un annuncio rimanga tale senza l’efficacia”.

D. Ma il nodo che Lei contesta – come il teologo Carlo Maria Pace – è soprattutto la posticipazione della rinuncia. QUI  Infatti, Benedetto XVI l’11 febbraio 2013 dichiarò che le sue dimissioni sarebbero entrate in vigore il 28 febbraio, dalle ore 20.00.

R. “La mia posizione- da giurista, non da teologo - è che l’atto di rinuncia, come anche l’accettazione al papato, appartengano al novero dei cosiddetti atti giuridici puri, ovverosia a quella categoria di atti che non ammettono l’apposizione di un termine e/o di una condizione. Insomma, si tratta di atti che esplicano i loro effetti immediatamente e non tollerano differimenti di sorta ad una certa ora futura o il verificarsi di eventi futuri ed incerti. Un cardinale che accetta l’elezione papale non può dire “Io accetto l’elezione, però questa avrà efficacia tra trenta giorni” o a partire da una certa data. Analogamente la rinuncia”.

D. Anche l’istituto del PAPA EMERITO, secondo Lei non ha alcun motivo di esistere, come mai?

R. “Non lo dico solo io, ma anche autori canonisti molto più autorevoli di me. Penso – tanto per citare dei nomi – ai professori Carlo Fantappiè dell’Università di Roma Tre e Geraldina Boni dell’Università di Bologna che, nei loro scritti, hanno più volte posto in evidenza come l’istituto dell’emeritato non possa applicarsi al papa. Anche l’insigne prof. Francesco Margiotta Broglio, professore emerito di diritto ecclesiastico, intervistato da Radio Radicale all’inizio dell’anno scorso, pose in evidenza questo “pasticcio”, sottolineando come «Questa storia del papa emerito non è prevista dai sacri canoni che prevedono i vescovi emeriti, non i papi. E il secondo sbaglio è stato di averli messi entrambi nel recinto vaticano: se uno fosse andato a Castel Gandolfo e l'altro in Vaticano era diverso, ma a meno di un chilometro di distanza è stato un errore fondamentale»”.

D. Dimissioni così confuse possono essere considerate dubbie e quindi invalide?

R. “Farei riferimento al can. 124 - §1:”Per la validità dell'atto giuridico, si richiede che sia posto da una persona abile, e che in esso ci sia ciò che costituisce essenzialmente l'atto stesso, come pure le formalità e i requisiti imposti dal diritto per la validità dell'atto”. Comunque, se la rinuncia è dubbia o parziale – come nel caso di Benedetto XVI (parlo di rinuncia parziale perché egli si è riservato alcuni profili dell’ufficio papale) – essa è senz’altro invalida, in quanto l’ufficio papale, per sua natura, non è divisibile. È un “pacchetto” che si accetta o si rifiuta così com’è, non potendosi dire “io rinuncio a questa facoltà, ma mi trattengo quest’altra”. O si rinuncia in toto, o non si rinuncia. Rinunce parziali non sono concepibili. Certo, però, il tema è ancora da studiare ed approfondire da parte dei canonisti e degli storici”.

D. Benedetto XVI potrebbe legittimamente continuare a indossare la veste bianca,a vivere in Vaticano, a usare il plurale maiestatico, a firmarsi P.P.-Pater Patrum, a impartire la benedizione apostolica?Già il Card. Pell ha espresso varie perplessità in merito QUI . Perché lo fa?

R. “Perché si è trattenuto alcune facoltà, benché non avesse potuto. Questo fa sì che la rinuncia sia parziale e, dunque, dubbia e, perciò, invalida. Beninteso ci sono stati casi nella storia della Chiesa di papi rinunciatari, che, pur dopo la rinuncia, conservavano alcune prerogative particolari (ad es., l’uso dell’anello piscatorio, dell’ombrello papale, ecc.). Penso ai casi di Gregorio XII o dell’antipapa Felice V. Ma si trattava di concessioni accordate o dal Concilio (di Costanza, nel caso di Gregorio XII) o da un pontefice (di Niccolò V, nel caso dell’antipapa Felice). E comunque pure in questi casi non era mantenuta né la veste papale né il nome da papa né altri appellativi che inducessero a qualche confusione, giacché era chiaro chi dovesse essere il papa e quelli che avevano rinunciato non potevano esserlo più”.

D. Quindi, in sostanza, Lei nega che papa Ratzinger abbia rinunciato validamente al papato, pensa però che lo abbia fatto in modo inconsapevole, quindi chiedere un parere a lui sarebbe inutile?

R. “In buona sostanza sì, ritengo che la rinuncia di Benedetto XVI presenti molte criticità dal punto di vista giuridico. Del resto, egli è un teologo, non un giurista o un canonista e quindi è più che naturale che abbiano delle forme mentali differenti. D’altronde non penso sia utile chiedere a lui un parere, anche perché i papi quando si sono pronunciati sulla propria o altrui legittimità hanno sempre errato. Per es., Martino V si riteneva successore di Giovanni XXIII Cossa, che era in realtà un antipapa, ed al contrario reputava che Gregorio XII – il papa legittimo – fosse, invece, l’antipapa”.

D. Ma non le sembra che, statisticamente, siano un po’ troppe queste criticità giuridiche, unite alle dichiarazioni di papa Ratzinger che,in otto anni, mai ha fornito una certezza su chi sia il papa?

R. “E’ plausibile, parlando da credente, che vi sia una sorta di “intelligenza” dietro tutto ciò volta a rendere invalide le dimissioni di Benedetto XVI. Non sono in grado di dire se questa strategia provenga dal puro caso, dalla mente di Benedetto XVI oppure da una forma di “intelligenza superiore”.Questo lo lascio valutare ad altri”.

 

 

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